Cosa accade effettivamente ? |
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Lo Yoga non è magia. Quello che avviene con la
pratica del Kriya è percepibile perché è reale, è quindi in accordo
con le leggi del cosmo così come voluto, creato e mantenuto in
esistenza dal Creatore. Quando Isaac Newton formulò le leggi della
fisica applicate ai corpi "materiali", dopo essersi posto le domande
appropriate fece degli esperimenti, osservò quanto accadeva e ne
trasse le debite conclusioni. Due, tre secoli più tardi le
applicazioni pratiche delle sue osservazioni permettono all'uomo
comune, tra le altre cose, di spostarsi su veicoli a motore che
sfruttano leggi che, in sé, esistevano già anche ai tempi dei
dinosauri. Stessa cosa per i voli aerei e per le imprese spaziali.
Se Newton e gli scienziati dopo di lui non avessero tratto le
conclusioni giuste, in accordo cioè con quanto esistente, nessun
aeroplano volerebbe e nessuna navicella sarebbe riuscita ad
approdare sulla luna, poi su marte, ecc... , sarebbero semplicemente
finite dove le "reali" leggi del cosmo le avrebbero portate. In
tutti questi casi, spostamenti in automobile ed in aereo, viaggi
nello spazio limitrofo al sistema solare, ecc... le leggi dedotte e
quelle reali semplicemente coincidono; e le cose che vediamo si
verificano. Ugualmente, nel campo spirituale, valgono i medesimi
concetti; gli "scienziati spirituali" sono giunti alla comprensione
delle leggi operanti su questo piano, hanno fatto gli esperimenti
appropriati i quali hanno prodotto determinati risultati. Chiunque
quindi, applicando scrupolosamente i medesimi principi potrà essere
in grado di volare sullo stesso aeroplano spirituale degli antichi
Maestri.
A questo punto si sono poste quantomeno le basi per una corretta
osservazione. Personalmente non tenterei ancora un parallelo con le
applicazioni di Newton e la pratica del Kriya Yoga perché, nella
loro interezza, non avvengono esattamente sugli stessi piani: le
leggi di Newton sono vere per i corpi "materiali" ed entro un campo
limitato di velocità di questi ultimi, quindi in un' ambito in cui
spazio e tempo sono entità distinte che poste in relazione tra loro
permettono di giungere alla formulazione di una legge che è
comprensibile come vera per l'osservatore. Nel Kriya, benché
l'osservatore abbia ben chiara la base materiale che è rappresentata
dal suo corpo fisico, alla fine del viaggio spazio e tempo non sono
più entità distinte, benché l'osservatore rimanga il medesimo;
questo almeno è quanto dichiarano tutti coloro che hanno fatto
l'esperienza della supercoscienza, samādhi, illuminazione o
qualsiasi nome gli si voglia dare. Sappiamo anche che, e lo dimostrò
Einstein agli inizi del ventesimo secolo, a livello di realtà
atomica e sub-atomica le leggi "vere" dedotte da Newton riguardo al
suo modello meccanicistico non sono più vere e che in questo ambito
spazio e tempo non possono essere entità distinte ma devono essere
considerate da un punto di vista unificato.
...a pag. 194 del "Tao della Fisica" di Fritjof
Capra è citato:
Einstein capì che il principio di relatività può
essere soddisfatto, nella descrizione dei fenomeni
elettromagnetici, solo se tutte le specificazioni,
non solo spaziali ma anche temporali, sono relative.
Le leggi della meccanica, che governano i fenomeni
associati ai corpi in movimento, e le leggi
dell'elettrodinamica, la teoria dell'elettricità e
del magnetismo, possono allora essere formulate in
uno schema « relativistico » comune che, insieme con
le tre coordinate spaziali, incorpori il tempo come
quarta coordinata che deve essere specificata
rispetto all'osservatore. |
...ed ancora, relativamente ad un'epoca molto
prossima a quella in cui Sri Yukteswar scrisse "La
Scienza Sacra":
Faraday e Maxwell non solo studiarono gli effetti
delle forze elettriche e magnetiche, ma fecero delle
forze stesse l'oggetto principale della loro
ricerca. Essi sostituirono il concetto di forza con
quello di campo di forze, e nel fare ciò furono i
primi a spingersi oltre i confini della fisica
newtoniana. Invece di interpretare l'interazione tra
una carica positiva e una negativa dicendo
semplicemente che le due cariche si attraggono tra
loro come avviene per due masse nella meccanica
newtoniana, Faraday e Maxwell trovarono più
appropriato dire che ogni carica crea nello spazio
circostante « una perturbazione », o « una
condizione », tale che un'altra carica, se presente,
avverte una forza. Questa condizione dello spazio
che ha la capacità di produrre una forza è chiamata
campo. Essa è generata da una singola carica ed
esiste indipendentemente dal fatto che un'altra
carica sia o meno presente nel campo e ne avverta
l'effetto. Era un mutamento profondissimo della
concezione della realtà fisica da parte dell'uomo.
Nella visione newtoniana, le forze erano rigidamente
connesse ai corpi sui quali agivano. Ora il concetto
di forza veniva sostituito da quello, molto più
sottile, di campo, il quale aveva una sua propria
realtà e poteva essere studiato senza alcun
riferimento ai corpi materiali. Il punto più alto
raggiunto da questa teoria, chiamata
elettrodinamica, fu la comprensione del fatto che la
luce non è altro che un campo elettromagnetico
rapidamente alternante e che si sposta nello spazio
sotto forma di onda. Oggi sappiamo che le onde
radio, gli infrarossi, le onde luminose, gli
ultravioletti o i raggi X, sono tutte onde
elettromagnetiche, cioè campi elettrici e magnetici
oscillanti che differiscono soltanto nella frequenza
di oscillazione, e che la luce visibile è solo una
piccola frazione dello spettro elettromagnetico. |
Credo che non ci siano dubbi sul fatto che,
ciascuno di noi sia formato, ad un certo livello della propria
costituzione, da quelle "cosine" che in fisica vengono
comunemente definite atomi e che a livello dei loro costituenti
primari sono esattamente uguali in me, in voi ed in tutta la
materia sparsa nell'universo; in un'altra sezione tenteremo di
analizzare questo argomento più approfonditamente. Con la
pratica del Kriya, così come descritta, focalizzando la volontà
nel punto tra le sopracciglia e visualizzando la circolazione di
respiro ed energia vitale alternativamente in alto ed in basso,
si creano due "poli magnetici" tra il centro alla base del tubo
cavo immaginario all'interno della spina dorsale e quello alla
sua sommità. Ma se un qualche Isaac Newton identificasse questi
poli fisici e vi connettesse uno strumento misuratore non
rileverebbe probabilmente nulla di significativo e ne trarrebbe
le deduzioni del caso. Lo stesso sperimentatore però, accendendo
il televisore di casa con il suo telecomando ad infrarossi,
benché non possa vedere il fascio di luce "infrarossa" perché ha
un livello di vibrazione* troppo basso per la percezione
dell'occhio umano, potrebbe tranquillamente vedersi il suo
programma preferito. Tutto questo per dire che nel Kriya non
sono i sensi fisici il mezzo con cui effettuare l'osservazione
perché, da come si deduce da quanto evidenziato in queste ultime
righe, non hanno la sensibilità adatta ad investigare la Realtà
nella sua interezza; sarebbe come cercare di misurare lo
spessore di un capello oppure la distanza Terra-Luna avendo a
disposizione solo un metro da sarto! Tutto ciò ha però una base
comune: la messa in campo di energia! Quando muoviamo un dito
non facciamo altro che attingere dal nostro serbatoio di energia
un quantitativo necessario di essa ed inviarlo all'arto
interessato per mezzo della volontà. Allo stesso modo, nella
pratica del Kriya, volontà ed immaginazione (che sono "forze"
agenti) trasformano l'ossigeno del respiro in "forza vitale"
che, rinforzata dalle sottili correnti spirituali che agiscono
all'interno del cavo spinale e sotto l'influsso dei "poli
magnetici" di cui sopra, comincerà a muoversi attorno al canale
centrale della colonna vertebrale. Chi praticherà con costanza
prima o poi avvertirà chiaramente queste correnti muoversi lungo
la spina dorsale percependone una sottile, elettrica sensazione
di calore.
La forza vitale, o prana, la si potrebbe definire quella forma di
energia "organizzata" che fa si che la totalità degli atomi che
compongono il corpo umano si comporti in un certo modo, mantenendolo
per esempio in vita, piuttosto che in un'altro non adatto a questo
scopo. In un corpo morto infatti, gli atomi dei vari elementi sono
lo stesso presenti e pieni di energia, ma sono organizzati e diretti
in un modo indubbiamente differente.
*
frequenza
infrarossi = 300 GHz – 428 THz e lunghezza d'onda 1 mm – 700 nm |
* frequenza luce
visibile = 428 THz – 749 THz e lunghezza d'onda 700 nm
– 400 nm |
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Due vie ? |
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Paramahansa Yogananda non volle dare ai discepoli
occidentali il Kriya Yoga come lo praticano in oriente e come viene
tuttora insegnato là da altri diretti discepoli, in successione, di
Sri Yukteswar. La differenza sta nel fatto che la corrente
energetica, una volta che arriva nel quinto chakra, viene
successivamente diretta nel Kutashta (il centro spirituale tra le
sopracciglia) attraverso il midollo allungato, anziché nel bindu,
che ha la sua sede nella regione occipitale dove l’attaccatura dei
capelli forma una specie di vortice, e questo ha una ragione; il
fatto che si sia nati in oriente o in occidente è dovuto a fattori
karmici a cui ci si dovrebbe adeguare e non opporsi. Nel Kriya tutto
deve avvenire in accordo con le leggi naturali. "Qualunque sia il
suo tipo di karma, una persona nasce con quel karma" è un aforisma
che è stato riportato come appartenente a
Lahiri Mahasaya. Con questo non
voglio dire che un'occidentale non possa eseguire le posizioni e le
tecniche alla maniera orientale, ma è ragionevole comprendere, ad
esempio, che una posizione seduta su una sedia con la spina dorsale
eretta sia molto più "nelle corde" di un occidentale medio piuttosto
che la posizione del loto a gambe intrecciate; poi è chiaro che quest' ultima sarà
probabilmente più adatta. Yogananda volle usare il Kryia come un'
acceleratore spirituale, quale in effetti è, e non voleva certo
attendere che un discepolo perfezionasse la posizione del loto o
qualsiasi altra tecnica perimetrale al Kryia medesimo, prima di
imboccare la "via maestra". Egli fu estremamente pratico; il suo
compito fu quello di portare lo yoga in occidente agli occidentali e
non quello di istruire discepoli orientali. E l'ambiente in cui
andava raccontando queste cose era un' America in cui era da poco
finito il Far West ed annoverava tra i suoi abitanti personaggi del
calibro Al Capone! La pratica che ciascuno vorrà seguire quindi,
dipenderà dal proprio grado di sviluppo e dalle proprie attitudini karmiche. L'importante è adottare delle pratiche che in breve si
riesca a sentire proprie, poiché quello a cui si deve arrivare è
trovare un punto di congiunzione e mettere a contatto materia e
spirito che trovano la loro corrispondenza ai centri Muladhara,
nella base della colona vertebrale, ed il Sahashrara o lotto dei
mille petali, che si trova in corrispondenza della ghiandola
pineale, ma non nel corpo fisico bensì in quello eterico. |
La
tecnica "modificata" da Yogananda per gli
occidentali |
La
tecnica "originale" praticata in oriente |
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Riprendendo il ragionamento fatto sopra, riguardo
al principi scientifici secondo i quali opera il Kriya, si potrebbe
facilmente vedere che in realtà non vi è una sostanziale differenza
tra le due vie, ma solo formale. Se durante la pratica, una volta
familiarizzati con tutti i processi e quindi in possesso di un certo
grado di tranquillità, si cercasse di analizzare l'evento "Kriya
Prānāyāma" nella sua totalità se ne potrebbero trarre elementi
interessanti. Come in ogni osservazione si può notare che
intervengono tre tipi di elementi: l'osservatore, l'oggetto
osservato e l'atto di osservare. Il primo è il praticante stesso, il
secondo è il flusso energetico lungo le direttrici spinali ed il
terzo è la visione interiore dell' avvenimento. Benché diventi un
attimo complicato dare una definizione esatta di luogo quando si
tratta di eventi interiori, si può notare che quando ci si
concentra, per esempio, nel Muladhara al coccige, l'osservatore in
realtà non si trova là, ma osserva dal Kutashta, il punto tra le
sopracciglia. Stessa cosa avviene se abbiamo diretto il flusso
energetico al bindu; l'osservatore osserva sempre dal medesimo
punto. Nel caso della variante occidentale introdotta da Yogananda
il punto finale del flusso energetico e l'osservatore tendono a
coincidere piuttosto che rimanere un pò più distanti. Personalmente
ritengo che il centro tra le sopracciglia sia un pò come lo schermo
nel quale vengono proiettati i vari eventi interiori così come gli
occhi sono gli organi che percepiscono ciò che accade nel mondo
fisico. Ma gli eventi non accadono negli occhi! Lì avviene solo un
processo di elaborazione della luce che poi si trasformerà in un
segnale che attraverso il nervo ottico raggiungerà il cervello.
Rimane la domanda se, per l'osservatore trattato in precedenza, gli
eventi avvengano effettivamente al di fuori di esso oppure
all'interno.
Note sulla tecnica "Orientale": Come
verrà trattato più avanti, il settimo Chakra, Sahasrara, non deve
essere considerato della stessa natura degli altri ma una realtà
superiore che può essere sperimentata solamente nello stato di
assenza di respiro. Non è perciò possibile concentrarsi su di esso
come facciamo con tutti gli altri ma soltanto "entrare in sintonia"
con lo stato che esso incarna. Per cui è necessario usare il Bindu
come porta. Le procedure del Kriya "operano" nello spazio compreso
tra il primo Chakra, Muladhara, e il Bindu, poi, come risultato di
tale azione, l'energia e la consapevolezza si stabiliscono nel
settimo Chakra. Considerando complessivamente quanto esposto sopra
riguardo al metodo di esecuzione del primo kriya, si può praticare
portando le correnti fra questi due poli (Muladhara e Sahashrara)
oppure finendo al centro Cristico dopo aver attraversato il cranio,
tenendo conto della propria sensibilità, sviluppo e condizioni
karmiche nel momento presente. Inoltre occorre sempre considerare
che il metodo è potentissimo e che non bisogna esagerare con le
ripetizioni andando oltre i propri limiti; l'accontentarsi, secondo
punto delle regole del Niyama, riduce i desideri, rende gai e
conferisce equilibrio alla mente.
Quando si
intraprende un viaggio è ovviamente importante il luogo
che si vuole raggiungere, ma altrettanto lo sono il
mezzo di trasporto ed il punto di partenza. Per andare
al di là dell' oceano con un' aeroplano una persona che
abita vicino all' aeroporto prenderà la bicicletta e
percorrerà il breve tratto di strada che la separa dal
punto di imbarco, mentre un'altra persona che abita in
una città dove non c'è l'aeroporto o tra le montagne,
dovrà prima prendere il treno o l'automobile prima di
volare sul boeing al di là del mare. |
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Considerazioni generali |
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Per arrivare alla vera iniziazione e cioè alla
percezione immediata e diretta dei mondi paralleli è necessario il
distacco della mente dalle impressioni sensoriali e la sua
concentrazione al terzo occhio. Per ottenere questo stato di
distacco dai sensi, chiamato da Patanjali "pratyāhāra" si deve
controllare l’energia vitale con il prānāyāma. Per immobilizzare i
pensieri bisogna immobilizzare il respiro, quando uno è fermo si
ferma pure l’altro. Solo allora si può avere vera concentrazione, in
sanscrito dhārana, ed in seguito immissione all' interno,
meditazione o in sanscrito dhyāna per arrivare alla fine alla
immedesimazione con il piano spirituale detta samādhi. Questi sono i
vari gradini, grosso modo, verso l’assoluto; i vedantisti hanno
scritto centinaia di libri su questo argomento. Una volta riuscito
il distacco il praticante deve focalizzare la sua attenzione al
cosiddetto "terzo occhio" che il veggente vede come una stella a
cinque punte dentro due aloni concentrici: quello interno di colore
blu scuro e quello esterno dorato come il sole. La sensazione che si
ha è quella di immergersi su un tunnel luminoso che si restringe
diventando blu e poi si restringe ancora diventando la stella a
cinque punte. La vera porta della iniziazione! Per entrare bisogna
“bussare” con il suono dell' OM. La via “stretta come una lama di
rasoio” comincia alla base della colonna vertebrale eterica la
sushumna. In essa si trovano le 7 chiese di cui parla San Giovanni
nell’apocalisse le sette ruote o vortici di energia che in sanscrito
si chiamano chakra. Nel primo dal basso il muladhara chakra si trova
lo spirito cristallizzato, la Kundalini che dorme come la “bella
addormentata”. E questa forza che una volta svegliata trascina
l’energia eterica o prana dai rivoli dei 5 sensi, la canalizza nella
sushumna e passando per gli altri sei chakra si unisce con Brahman nel
loto di mille petali che ha la sua corrispondenza fisica nella
ghiandola pineale o epifisi, collocata nella parte centrale del
cervello, sede dell’anima secondo Platone.
In generale si procede in questo ordine: utile anche se non indispensabile è
praticare qualche esercizio di hatha yoga specifico per la schiena o
gli esercizi di ricarica che inventò
Paramahansa Yogananda. Essi
sono una specie di ginnastica isometrica nella quale si tendono e si
rilanciano i vari muscoli del corpo. Se ne può ottenere una
descrizione completa contattando la Casa Madre della
Self-Realization Fellowship richiedendo i primi "steps" di lezioni
nelle quali sono compresi. In seguito, si devono praticare un po’,
all'incirca sei mesi la tecnica dell' Hong So e successivamente la
tecnica dell' OM, ed anche queste sono dettagliatamente descritte
nel primo set di lezioni di cui sopra. Quando ci si sente pronti,
solitamente dopo un periodo di 10-12 mesi di pratica per circa
un'ora al giorno (meglio se divise in due volte di mezz’ora
ciascuna) si diventa eleggibili al primo Kriya, il più importante.
L'intero apparato psico-fisico ed il corpo pranico dovrebbero a
questo punto essere in grado di cominciare l'ascesa quindi, con il
giusto atteggiamento interiore, si può cominciare la pratica.
Yogananda, si dice, abbia praticato l' "Hong So" anche per 7 ore al
giorno; non esistono regole generali per tutti importante è andare
in progressione.
-
La tecnica del kriya usata male diventa
pericolosa: Prima di svegliare il “drago” bisogna esser preparati.
Il Kriya agisce direttamente sui chakras eterici i quali a loro
volta forniscono di energia le 7 ghiandole endocrine. Respirate
profondamente fate pochi kriya ma lenti cercando di fare durare
ciascun ciclo completo di "inspirazione-pausa-espirazione-pausa"
almeno 20 - 30 secondi.
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Precauzioni: Quando si arriva alla soglia della pratica del primo Kriya ci si sarebbe già dovuti impegnare da tempo nelle osservanze
di Yama e
Niyama. Inutile dire che per i tempi che ci troviamo a
vivere, anche se non esplicitamente proscritto dai summenzionati
principi, è tassativamente vietato iniziare la pratica qualora si
assumano alcool, droghe o stimolanti del sistema nervoso in genere.
Come già ripetuto più volte, seguire la via del Kriya implica il
vivere in modo naturale. L' assunzione di sostanze fortemente
stimolanti del sistema nervoso o peggio di sostanze che alterano la
percezione mentale implica il vivere in modo innaturale. La pratica
per chi fa uso di tali sostanze è proibita perché il normale
pericolo suggerito da una ragionata precauzione potrebbe divenire
perfino letale. Ed inoltre il fine stesso per cui si opera, già
arduo per sua natura, sarebbe impossibile da raggiungere.
-
La modifica di Yogananda: In realtà non è una modifica ma il Kriya
originario essendo quello dato da Yogananda rivolto ai praticanti
occidentali: “Ferma restando la concentrazione al terzo occhio il
percorso delle correnti calde e fredde comincia dalla base della
colonna vertebrale per finire alla ghiandola pineale”. Infatti la Shakti Kundalini
è da lì che deve uscire per raggiungere il suo sposo Shiva nel
matrimonio mistico, dove l’aspirante rinasce un'altra volta e diviene
cittadino del mondo spirituale.
-
I Kriya superiori: sono concepiti cercando di generare, con
la pratica ed i giusti movimenti, una sorta di magnete spirituale
che porta il prana in alto. Sarebbe bene, a questo punto, avere un
qualche grado di conoscenza relativamente allo Yoga. Nel caso di
neofiti o allievi alle prime armi è caldamente consigliato leggere
almeno:
Nel Cristianesimo si parla delle quattro Virtù
Cardinali che sono: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. San
Tommaso sostiene che qualora se ne possieda una si possiedano anche
le altre. Tutte e quattro si adattano molo bene, a mio avviso, al
cammino che si sta per intraprendere, ma se posso scegliere quella
da mettere al primo posto opterei per la Prudenza. Non deve
diventare un freno, altrimenti si rischierebbe di desistere, ma
sicuramente và applicata con grande scrupolo. Patañjāli è molto
chiaro, parla di un ottuplice sentiero che prevede dei gradini.
Difficilmente un balordo che vive una vita disordinata,
completamente priva di virtù ( in cui prevale tama guna ), sentirà
il bisogno di avvicinarsi al cammino dello Yoga ed intraprenderlo,
ma se dovesse farlo, il tentativo di osservare le regole di
Yama e
Niyama dovrebbe essere il suo primo passo. Non certamente quello di
trovare una posizione stabile ed affrontare il prānāyāma con
l'intento di portare la sua coscienza all'interiorizzazione del
pratyāhāra. Non a caso questi gradini, terzo, quarto e quinto, sono
stati posti dopo le regole morali. Poi, con la pratica, tante altre
impurità relativamente alle prescrizioni dei dieci precetti morali
verranno più facilmente rimosse. Prudenza significa anche cercare di
conoscere ciò che non si sa, senza per questo entrare nella spirale
del dubbio, altro ostacolo del cammino che potrebbe portare a
desistere. Svadhyaya, lo studio delle scritture (il quarto passo del
Niyama) può venire in aiuto in questo caso ed i testi sopra
menzionati potrebbero essere davvero di grande utilità.
Il Kriya che Yogananda ha portato all'occidente è uno Yoga veramente
pratico ed incoraggiante; non occorre una rigidissima osservanza dei
principi morali all' inizio, la pratica aiuterà, assieme alla
volontà, a rimuovere le impurità, le posizioni ( āsanas ) sono
ridotte all'osso ( a parte il maha mudra si chiede di sedere su una
sedia con la spina dorsale eretta ) ed il prānāyāma
è, in sostanza, uno solo. Tutti gli sforzi sono immediatamente
diretti verso lo Spirito.
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Non
cercate di dominare prānāyāma in fretta, dato che state
giocando con la vita stessa.
Con una pratica non adatta potrebbero insorgere disturbi
respiratori e il sistema nervoso essere scosso.
Con una pratica appropriata si è immuni dalla maggior
parte delle malattie.
Non cercate mai di praticare prānāyāma da soli, dato che
è essenziale avere la sorveglianza personale di un Guru
che conosca le limitazioni psico-fisiche del suo allievo. |
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La via del prānāyāma |
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Potrebbe rivelarsi di qualche
utilità, adesso che si è acquisita una maggiore consapevolezza di tutti i
processi, rivedere, più approfonditamente e da diversi punti di
vista, la teoria e la dinamica del prānāyāma. Cosi come il
termine Yoga è di vasto significato, lo stesso è della parola prānā.
Prānā significa fiato, respirazione, vita, vitalità, vento, energia
o forza. Indica anche l'anima in opposizione al corpo. La parola è
usata generalmente al plurale per indicare i respiri vitali. Ayàma
significa lunghezza, espansione, stiramento o controllo. Il prānāyāma
è quindi l'estensione del respiro ed il suo controllo quindi il
controllo dell'energia vitale Tale controllo agisce
in ogni fase della respirazione, e si può distinguere:
in tre componenti
ed in quattro fasi
Inalazione (Puraka) |
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L'inalazione (puraka)
è l'assorbimento dell'energia cosmica da parte
dell'individuo, per la sua crescita e il suo
progresso. È la via dell'azione. È l'Infinito
che si unisce con il finito. Inspira il soffio
della vita, delicatamente e dolcemente come
inspirerebbe la fragranza di un fiore e lo
distribuisce equamente in tutto il corpo.
-
Mentre
eseguono le asana, la mente e il respiro sono
come un bambino entusiasta, sempre pronto a
inventare, a creare e a mostrare la sua abilità,
mentre nella pratica del prānāyāma il respiro è
come un infante che ha bisogno di speciali
attenzioni e cure da parte della madre. Come la
madre ama il figlio e dedica la vita al suo
benessere, la coscienza deve aver cura del
respiro.
-
È utile notare
che la relazione tra coscienza e respiro deve
essere come quella tra una madre e il figlio. Ma
prima che questo possa avvenire, i polmoni, il
diaframma e i muscoli intercostali devono essere
allenati e disciplinati mediante le àsana,
affinché il respiro si muova ritmicamente.
-
L'azione della
coscienza nella respirazione è come quella di
una madre assorta nell'osservare il figlio che
gioca. Sebbene sia esteriormente passiva, è
mentalmente vigile e lo osserva con attenzione
sebbene rimanga del tutto rilassata.
-
Quando la madre manda a
scuola il figlio per la prima volta, lo
accompagna tenendolo per mano per guidare i suoi
passi, spiegandogli l'importanza di fare
amicizia con i futuri compagni e di studiare le
lezioni. Sommerge la propria identità assistendo
il figlio fino a che questi si abitua alla vita
scolastica. Anche la coscienza deve trasformarsi
nella stessa condizione del flusso del respiro,
seguendolo come una madre e guidandolo verso un
fluire ritmico.
-
La madre insegna al figlio a
camminare e ad attraversare la strada con
prudenza. Allo stesso modo, la coscienza deve
guidare il flusso del respiro attraverso i
passaggi respiratori affinché venga assorbito
nelle cellule vive. Come il figlio acquista
sicurezza e si abitua alla scuola, la madre lo
lascia quando arriva al portone. Cosi pure,
quando il respiro si muove con precisione
ritmica, la "chitta" osserva i suoi
movimenti e l'unisce con il corpo e l'Io.
-
Nell'inalazione, si tenta di
trasformare il proprio cervello in un centro che
riceve e distribuisce il flusso d'energia (prānā).
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Non gonfiare l'addome, quando
si inspira, perché questo impedisce ai polmoni
di espandersi pienamente. L'ispirazione e
l'espirazione non devono essere forzate né
affrettate, perché ciò potrebbe causare tensione
al cuore o lesioni al cervello.
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Esalazione (Rechaka) |
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L'esalazione è
l'efflusso dell'energia individuale che si
unisce cosi all'energia cosmica. Acquieta il
cervello. È la resa dell'ego all'Io e la sua
immersione in Esso.
L'esalazione è
il processo mediante il quale l'energia del
corpo si unisce gradualmente a quella della
mente, si fonde nell'anima e si dissolve
nell'energia cosmica. È la via del ritorno dalla
periferia del corpo verso la fonte della
coscienza, conosciuta come via della rinuncia .
Tenere alto il
petto, consciamente, e guidare con fermezza e
regolarità il respiro che fuoriesce.
Inalare ed
esalare sistematicamente con grande attenzione
per l'andamento ritmico del respiro, come un
ragno tesse simmetricamente la tela e si muove
su di essa avanti e indietro.
Per certe
persone l'inalazione è più lunga
dell'esalazione, mentre per altre è più lunga
l'esalazione. Ciò è dovuto alle sfide che si
debbono affrontare nella vita e alle reazioni
che si pongono in atto, che cambiano il flusso
del respiro e la pressione del sangue. Il
prānāyāma mira a sradicare tali disparità e
perturbazioni presenti nel flusso del respiro e
nella pressione del sangue, e a rendere
l'individuo imperturbato, non attaccato alla
propria personalità.
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Ritenzione (Kumbhaka) |
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-
Kumbha significa
vaso, che può essere pieno o vuoto. Il kumbhaka
è d i due tipi:
una pausa tra
un'inspirazione e un'espirazione, oppure
-
una pausa tra
un'espirazione e un'inspirazione
-
Oltre che di
due tipi i kumbhaka sono anche classificabili in due modi:
Shaita e Kevala
-
Quando il
respiro viene trattenuto intenzionalmente e
volontariamente, è Sahita
-
Sahita
kumbhaka è la pausa nella respirazione
-
dopo
una piena inalazione prima
d'incominciare l'esalazione (antara
o puraka kumbhaka), oppure
-
dopo una completa
esalazione prima d'incominciare l'inalazione (bahya
o rechaka kumbhaka).
-
Kevala kumbhaka è la pausa
nella respirazione non accompagnata da puraka o
rechaka. Kevala significa "di per
sé" o "assoluto". Avviene come quando l'artista è totalmente
assorbito nella sua arte o un devoto trattiene
il respiro nell' adorazione. Tale stato è spesso
preceduto da tremiti del corpo e da paura, come
quella di un uomo sul punto di essere
sopraffatto dall'inaspettato. La pazienza e la
perseveranza aiuteranno a superare questa
sensazione. Il kevala kumbhaka è istintivo e
intuitivo. In questo stato, il praticante è
completamente assorto nell'oggetto della propria
devozione e isolato dal mondo; prova un
sentimento di gioia e di pace che trascende ogni
comprensione. È in sintonia con l'Infinito.
-
Kumbhaka è l'arte di
trattenere il respiro in uno stato di
sospensione
-
Kumbhaka
significa inoltre ritrarre l' intelletto dagli
organi della percezione e dell'azione, per
concentrarlo sulla sede dell'Atma (purusa),
l'origine della coscienza. Il kumbhaka mantiene
silenzioso il praticante al livello fisico,
morale, mentale e spirituale.
-
La ritenzione del
respiro nel kumbhaka non deve essere
interpretata come ri-tensione del cervello, dei
nervi e del corpo per trattenere il respiro. La
ri-tensione porta all'ipertensione. Il kumbhaka
deve essere eseguito con il cervello rilassato
per rivitalizzare il sistema nervoso.
-
Quando il respiro
è arrestato nel kumbhaka, i sensi si acquietano
e la mente diviene silente. Il respiro è il
ponte tra il corpo, i sensi e la mente.
-
Antara Kumbhaka è
trattenere il Signore in forma di energia
cosmica o universale, che si fonde nell'energia
individuale. È uno stato nel quale il Signore è
unito all'anima individuale
-
Bàhya kumbhaka è
lo stato in cui lo yogi rende il suo stesso
essere, in forma del suo respiro, al Signore, e
si fonde con il Soffio Universale. È la forma di
resa più nobile, poiché l'identità dello yogi si
fonde completamente con il Signore.
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Nella Bhagavad
Gita (IV, 29-30), Krsna illustra ad Arjuna le
diverse specie di sacrifici (yajna) e di yogi.
Uno di questi yajna è il kumbhaka pranayama, che
si divide in tre categorie: inalazione-ritenzione, esalazione-ritenzione (entrambe sono sahita kumbhaka) e ritenzione assoluta (kevala
kumbhaka). Il corpo dello yogi è l'altare
sacrificale, l'influsso del respiro (puraka) è
l'oblazione e l'efflusso (rechaka) è il fuoco.
Kumbhaka è il momento in cui l'oblazione del
puraka è consumata nel fuoco del rechaka, e
l'oblazione e la fiamma divengono una cosa sola.
Lo yogi acquisisce la conoscenza per controllare
il suo respiro.
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La parte superiore del torace è
la dimora del respiro che affluise (prana), e la
parte inferiore lo è del respiro che fuoriesce (apàna).
Quando i due si uniscono nell'inspirazione, si
ha lo stato di puraka kumbhaka. Quando l'apàna
entra in contatto con il prana e fuoriesce
nell'esalazione, tale stato di vuoto è detto
rechaka kumbhaka.
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Assorbendo questa
conoscenza mediante l'esperienza, lo yogi fa
della conoscenza del pranayama una parte della
sua sapienza, alla quale offre la sua
conoscenza, la sua saggezza, il suo soffio
vitale e il suo "Io" quale oblazione. Questo è
lo stato di kevala kumbhaka, o resa assoluta,
nella quale lo yogi è assorbito nell'adorazione
del Signore.
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Come una madre
protegge il figlio da ogni catastrofe, la
coscienza (chitta) protegge il corpo e il
respiro. La spina dorsale e il torso sono attivi
e dinamici come un bambino, e la chitta è vigile
e protettiva come una madre.
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Nel kumbhaka, la
vibrazione nel corpo è simile a quella di una
locomotiva stazionaria sotto pressione, con il
macchinista vigile e pronto a partire, ma
rilassato. Allo stesso modo, il prana vibra nel
torso, ma la chitta permane rilassata ed è
pronta a lasciare fuoriuscire o entrare il
respiro. Il praticante deve essere come un
bambino disciplinato, che è nel contempo
ardimentoso e prudente.
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La durata del
tempo in cui viene trattenuto il respiro può
essere paragonata a quella dei semafori del
traffico. Se si passa con il rosso, può accadere
un incidente. Cosi pure, nel kumbhaka, se si va
oltre le proprie capacità, il sistema nervoso
verrà danneggiato. La tensione nel corpo e nel
cervello indica che la chitta non può trattenere
il prana nel kumbhaka.
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Non trattenere il
respiro con la forza di volontà. Nel momento in
cui il cervello diviene teso, l'orecchio interno
duro e gli occhi rossi, pesanti o irritati,
allora l'individuo eccede le proprie capacità.
Stare attenti a questi segnali ammonitori, i
quali indicano la vicinanza del punto del
pericolo.
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Lo scopo del
kumbhaka è trattenere il respiro. Quando il
respiro è trattenuto, la favella, la percezione
e l'udito sono controllati. In questo stato la "chitta"
è libera dalla passione e dall'odio,
dall'avidità e dalla libidine, dall'orgoglio e
dall'invidia. "Prana" e "chitta" divengono una
cosa sola nel kumbhaka.
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Il kumbhaka è
l'impulso di trarre fuori la divinità latente
nel corpo, dimora del Signore.
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Nei testi dello Yoga, kumbhaka è anche usato
in un libero senso generico per includere le tre fasi
respiratorie dell'inspirazione, esalazione e ritenzione. Kumbha
è una brocca, un recipiente per l'acqua, una giara o un calice
che può essere svuotato dell'aria che è
al suo interno e riempito completamente di acqua, oppure può
essere svuotato di tutta l'acqua e riempito completamente di
aria. Perciò, kumbhaka è l'intervallo di tempo che intercorre tra la completa
inalazione e l'esalazione (antara kumbhaka) o tra l'esalazione
totale e l'inalazione (bàhya kumbhaka). In entrambi i casi si ha
sospensione e trattenimento del respiro. Kumbhaka non è apnea né una ritenzione forzosa dell'aria ma una interruzione
spontanea e controllata del ritmo del respiro. Quest'ultimo non
deve mai risultare affaticato a causa di ritenzioni
esageratamente prolungate, ma in un
prānāyāma
ben eseguito viene ad assomigliare ad una danza ritmica
che segue le "battute" scandite dal tempo della vita e
dell'universo. Chi si accinge a praticare il prānāyāma
è quasi sempre animato da sincere intenzioni ma non per questo è
libero dall'errore; l'apnea, nel prānāyāma, è lo
stesso errore che lo yogi commetterebbe qualora si imponesse,
nella vita, una forzosa astinenza poiché il risultato sarebbe un
aumento del desiderio. La giusta ritenzione assomiglia invece ad
una astensione controllata, compiuta nella piena padronanza dei
propri mezzi, che porta alla comprensione dell'origine dei
desideri e conduce ad una loro felice sublimazione. Prānāyāma è quindi la scienza del respiro, ed è
il punto centrale attorno al quale gira la ruota della vita.
Come i leoni, gli elefanti e le tigri vengono domati molto
lentamente e cautamente, cosi il prānā dovrebbe essere
portato sotto controllo molto lentamente in gradazione misurata
secondo le proprie capacità e limitazioni fisiche; in caso contrario
esso potrebbe anche uccidere il praticante. Con una pratica non
adatta del prānāyāma l'allievo introduce parecchi
disturbi nel suo sistema respiratorio come il singhiozzo,
l'asma, la tosse, il catarro, mali alla testa, agli occhi e alle
orecchie ed irritazione nervosa.
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Lo yogi e il prānāyāma |
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Lo yogi
segue i giusti modelli ritmici della respirazione lenta e
profonda, che rafforzano il sistema respiratorio, calmano il
sistema nervoso e riducono la bramosia. Man mano che i desideri
e le brame diminuiscono, la mente si libera e diventa un mezzo
adatto alla concentrazione. È necessario molto tempo per imparare le lente,
profonde, regolari e giuste inalazioni ed esalazioni.
Impadronitevi di queste tecniche prima di provare kumbhaka. Come
il fuoco divampa con veemenza quando la cenere che lo soffoca è
portata via dal vento, cosi il fuoco divino splende nel corpo
con tutta la sua maestà quando le ceneri del desiderio vengono
fugate dalla pratica del prānāyāma.
Liberare la mente di tutte le sue illusioni è la vera
rechaka (espirazione)
La realizzazione che "Io sono Atmà (lo spirito) è la
vera puraka (inspirazione)
Mantenere stabilmente la mente su questa convinzione è
la vera kumbhaka (ritenzione)
Questo è il vero prānāyāma
Sankarāchārya
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Lo yogi offre il respiro del suo essere a Dio come sacrificio e
riceve il respiro della vita dal Signore come sua benedizione.
Il prānā nel corpo dell'individuo (jivātmā) è parte
del respiro cosmico dello Spirito Universale (Paramātmā);
attraverso la pratica del prānāyāma si compie il
tentativo di armonizzare il respiro individuale con il respiro cosmico. Se desiderate uno
spirito tranquillo, per
prima cosa regolate il vostro respiro, poiché quando questi è
sotto controllo, il cuore sarà in pace: un respiro spasmodico
porta invece il cuore in agitazione. Perciò. prima di iniziare
qualsiasi attività regolate il respiro che addolcirà il vostro
carattere, calmerà il vostro spirito. La chitta (un aspetto della mente) è come un carro
aggiogato ad un tiro di cavalli
potenti. Uno di essi è prānā (respiro), l'altro è vāsanā (desiderio). Il carro si muove nella direzione del
cavallo più potente; se il respiro prevale, si ha controllo dei
desideri, si tengono a freno i sensi e si dona calma alla mente.
Se prevale il desiderio, si ha invece respiro disordinato e
mente agitata e turbata. Per questa ragione lo yogi impara la
scienza del respiro che, moderato e controllato, regola la mente
e ne calma il moto costante. Durante la pratica del prānāyāma
gli occhi vengono tenuti chiusi per prevenire il divagare della
mente.
Quando prānā e manas
(un aspetto della mente) raggiungono la completa fusione,
nasce una gioia indefinibile
L'eccitazione emotiva influisce sul ritmo del respiro:
similmente il controllo deliberato del respiro impedisce
l'eccitazione emotiva. Dato che il vero scopo dello prānāyāma è
controllare e calmare la mente, lo yogi apprenderà in primo
luogo la tecnica del prānāyāma per dominare il
respiro. Ciò gli permetterà di controllare i sensi e di
raggiungere così lo stadio di pratyāhāra; soltanto allora la
mente sarà pronta per la concentrazione e la meditazione (dhyāna).
Si dice che la mente possa assumere due diversi aspetti: puro ed
impuro; puro, quando è completamente libera dai desideri, ed impuro
quando è in preda ai desideri. Inibendo alla mente di vagare
liberandola dalla indolenza e dalle distrazioni, si giunge a uno
stato di assenza dei pensieri (amanaska), che è lo stato supremo di
samādhi. Tale condizione non è pazzia o idiozia ma è lo
stato cosciente della mente quando è libera dai pensieri e dai
desideri. Esiste una differenza vitale tra un idiota
o un pazzo, e uno yogi che si sforza di giungere allo stato di
assenza dei pensieri. Il primo è privo di responsabilità mentre il secondo
cerca di essere libero dagli affanni. Ecco cos'è lo Yoga: la
fusione del respiro e della mente, come anche dei sensi e
l'abbandono di tutte le condizioni poste dall'esistenza e dal
pensiero.
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Le cinque arie (prānā vayu) |
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Una delle forme più misteriose di energia
è l'aria. L'energia vitale che pervade anche il corpo
umano viene suddivisa, secondo la teoria dello yoga, in cinque
categorie principali a seconda delle diverse funzioni
compiute. Tali categorie prendono il nome di Vayus (arie, venti) e
sono chiamate:
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prānā: (qui il
termine generico è usato per designare il
particolare); si muove nella regione del cuore e
controlla la respirazione -
apāna: compie il
suo lavoro nella sfera dell'addome inferiore e
regola la funzione dell'eliminazione delle urine
e delle feci
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samāna: alimenta
i succhi gastrici e aiuta la digestione -
udāna: si trova
nella cavità toracica e regola l'immissione
d'aria e di cibo
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vyāna: pervade
tutto il corpo e distribuisce l'energia prodotta
dal cibo e dal respiro
Durante l'inspirazione si può
provare ad estendere la consapevolezza e provare a
sentire non solo l'energia che sale dietro la spina
dorsale ma anche quella che entra con l'aria e,
scendendo nei polmoni, attraversa quindi il
diaframma ed entra nell'addome. Durante
l'espirazione, oltre alla discesa dell'energia
tipica del Prānāyāma e a cui ci si dovrebbe essere
abituati, si può anche percepire una calda corrente
che sale dall’addome. Tanto più aumenta tale
consapevolezza, tanto più è il calore prodotto, di
respiro in respiro, nell'ombelico. Quando prānā, che agisce in alto (nella zona
dei polmoni) ed Apana, che agisce in basso (nella
zona dell’addome) si uniscono nell'ombelico attivano
la corrente Samana. Si dice che il calore prodotto
dalla loro unione sia come una "freccia" che,
partendo dal centro dell’"arco del corpo", possa
raggiungere l’"obiettivo" del Kutastha e rivelare la
luce spirituale. Riuscire a produrre questo calore
intensificando la percezione delle due correnti
nell’ombelico richiede una certa sensibilità, ardua
per un principiante.
Le scuole che insegnano il Kriya prescrivono che,
durante il Prānāyāma, lo sguardo rimanga concentrato nel Kutastha
ma
negli insegnamenti del cosiddetto Kriya originale, sembra ci sia un
po' di confusione su dove la concentrazione debba essere diretta.
Nella spiegazione base del Prānāyāma le indicazioni prescrivono
semplicemente che gli occhi siano chiusi, rilassati, come per
guardare in lontananza attraverso il "Kutastha". Di seguito si
aggiunge il consiglio su come centrare l’attenzione sul sesto Chakra,
nella regione centrale della testa. Ajna Chakra è come una grotta
dove il kriyaban trova rifugio. In altre parole, mentre si segue il
movimento di energia attorno ai Chakra, la consapevolezza si
raccoglie spontaneamente in tale cavità. Quando questa condizione
avviene spontaneamente ed è eseguita senza sforzo, è divenuta
stabile ed il Prānāyāma riesce perfettamente. Anche l’arduo compito
di intensificare la corrente Samāna riesce senza problemi.
Dall’interno di questa grotta ideale, il kriyaban visualizza
simultaneamente l’energia che sale in alto dietro la spina dorsale e
anche l’aria che discende nel basso addome. Durante l’espirazione
osserva l’energia che scende verso il basso, diventa consapevole del
movimento dell'ombelico verso l'interno, percepisce i muscoli
diaframmatici e diventa anche consapevole dell’aria che esce dai
polmoni. Questa procedura ricalca molto l'asserzione della Gita
riguardo allo Yogi che "offre l'inspirazione all'espirazione, e
l'espirazione all'inspirazione" come già menzionato più sopra.
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