Introduzione
Il Kriya Yoga
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Introduzione
 

Dopo avere parlato dei principi morali universali di Yama e Niyama, elencati da Patañjāli nei suoi Yoga Sutra come i primi due passi dell'ottuplice sentiero dello Yoga, la cosa più naturale da fare, rimanendo nello stesso ambito, è passare al terzo gradino: āsana. Questa parola significa "posizione" o "postura" e la sua applicazione pratica può assumere aspetti differenti a seconda della tipologia di yoga nella quale è inserita. Una branca conosciuta come Hatha Yoga ha dato particolare risalto a questo terzo stadio degli otto prescritti da Patañjāli, sviluppando una vasta serie di esercizi, o posture, volte sia al rafforzamento ed al mantenimento della salute fisica e soprattutto alla preparazione del corpo agli stadi successivi del cammino dello yoga. Benché nella cultura occidentale lo yoga non sia molto conosciuto è tuttavia entrato nell'immaginario collettivo ed è associato da molti, nella maggioranza dei casi, ad una specie di ginnastica da fare in palestra, oppure, da altri, a qualcuno seduto a gambe incrociate che fa OM! Non è infrequente vedere varie forme di rimescolamento delle āsanas con altri tipi di ginnastiche di moda al fine rimpolpare il numero degli iscritti di tante palestre mentre è evento più raro trovare associazioni che insegnano lo yoga rifacendosi alla sua filosofia originaria degli antichi testi. Tutto questo è ampiamente dentro all'ordine delle cose e chiunque pratichi lo yoga con sinceri fini di ricerca personale ha piena consapevolezza di essere molto lontano dai grandi numeri. Un po' come dire che il prezzo della "grandezza" interiore sia la solitudine ... le cose sembrano essere strutturate in questo modo. Pur avendo una conoscenza personale di alcune di queste posizioni non saranno argomento di queste pagine se non per qualche riferimento sporadico poiché cercherò di seguire in particolare la linea di evoluzione del Kriya Yoga che non prevede un elevato numero di posture da assumere. Di antichissima origine ed assolutamente coerente con gli insegnamenti di Patañjāli, il testo di riferimento del Kriya Yoga è la Bhagavad Gitā, ed "āsana", nel contesto delle sue pratiche, è relativo unicamente all'assumere una posizione salda, atta ad essere mantenuta a lungo, in grado di sostenere il corpo dello yogi quando entrerà in più elevati stati di coscienza che tendono ad irrigidire il corpo medesimo. Prima di proseguire vorrei rimarcare che quanto si troverà scritto più avanti non è rivolto principalmente ad istruttori avanzati di yoga, a kriyabans o comunque ad esperti del settore, ma, essendo praticamente un dialogo che faccio con me stesso, può al massimo servire a soddisfare le prime conoscenze di qualche neofita incuriosito dalle filosofie orientali. Più in particolare tutto quello che si può trovare in queste pagine è un po' il mio modo di praticare svādhyāya, il quarto precetto del Niyama,; leggo il mio libro nello stesso tempo in cui lo scrivo e lo correggo. Trovandomi a vivere nei primi tempi del Dvapara Yuga approfitto di una conoscenza "elettrica" come internet per metterlo sulla finestra del mondo consapevole del gran bene che potrebbe averne chiunque decidesse di prendere la propria strada nello yoga.

 
Il sistema del Kriya Yoga
 

Kriya è l'aspetto funzionale, la potente tecnica del sistema del Kriya Yoga. L'intera procedura è stata concepita sul modello di determinati movimenti celesti universali armonizzando gli stessi con la disciplina mentale e fisica dello yoga. Sebbene diverse pratiche di varie scuole di yoga portino il nome di kriya, termine molto comune in questa disciplina, quello a cui si fa specifico riferimento qui è a quanto è stato insegnato e tramandato da Sri Shyama Charan Lahiri Mahasaya di Benares. É già stata delineata nei dettagli, nel capitolo relativo agli Yuga, la concezione sulla base della quale è stato concepito il principio di questa tecnica yoga mentre qui di seguito sarà data una descrizione generale delle tecniche che vengono insegnate a chi riceve l'iniziazione al primo livello del kriya unitamente a varie precauzioni e consigli spirituali utili a chi si accingesse a praticarle. Come ho già spiegato nella premessa generale di questo sito non esporrò una sequenza dettagliata delle varie tecniche in quanto la tradizione di questa antica scienza presuppone un vincolo di segretezza relativamente alle medesime, mentre ne è nota la sequenza che può essere trovata su vari libri ed ampiamente in parecchi siti internet. Benché per il Kriya Yoga sia previsto un vasto piano di divulgazione, e l'opera di Yogananda in America ne fu un esempio, il permanere di questo vincolo di segretezza può apparire un controsenso. É purtroppo storia di molti antichi e validi insegnamenti spirituali dell'India l'essere stati banalizzati e trasformati in pratiche di poco valore a causa di una loro indiscriminata diffusione in un mondo non preparato a riceverli. La relativa segretezza delle pratiche del Kriya Yoga è volta a preservarne l'essenza al fine di non esserne sminuita, corrotta, inquinata ed in definitiva rovinata come è accaduto ad altri valenti insegnamenti spirituali. 

 
Le tecniche del primo livello del Kriya
 

Chiunque abbia letto l'autobiografia di Yogananda conosce gli eventi che resero possibile al Kriya Yoga di essere nuovamente alla portata di tutti coloro che volessero sinceramente percorrerne il sentiero, senza essere più solo prerogativa di rinuncianti ed asceti. Lahiri Mahasaya, che ne sviluppò poi il sistema, ricevette l'iniziazione da Babaji, il quale a sua volta la ricevette dal suo guru, evento questo di cui però nulla è noto. Alcune fonti sostengono che quando Babaji dette la prima iniziazione a Lahiri Mahasaya, nel 1861, avesse già più di trecento anni di età, ma altre riportano invece che fu proprio lo stesso Mahavatar ad iniziare Shankara, l'antico riorganizzatore dell'ordine monastico degli Swami, ed in questo caso bisognerebbe andare molto più indietro nel tempo. Lahiri Mahasaya a sua volta iniziò parecchi discepoli, alcuni dei quali furono in seguito autorizzati dal grande guru a tramandare l'insegnamento del Kriya Yoga in India e, successivamente, anche nel mondo intero. Và però detto che l'intero sistema del Kriya Yoga, benché i principali tratti di base siano rimasti i medesimi, viene oggi insegnato con alcune differenziazioni a seconda delle varie scuole. Essendo perfettamente coerente con le linee dettate da Patañjāli e con gli insegnamenti della Bhagavad Gitā, il Kriya Yoga prevede āsana e prānāyāma, che sono rispettivamente il terzo e il quarto gradino menzionati negli Yoga Sutra dell'antico saggio, per portare lo stato di coscienza del praticante al pratyāhāra, il quinto stadio e quindi alla meditazione. Come ho già specificato nell'introduzione, a seconda della branca a cui fanno riferimento, le pratiche di āsana e prānāyāma hanno delle loro ben definite metodologie di applicazione e quelle applicate all'Hatha Yoga ed al Kriya Yoga differiscono sostanzialmente. Mentre il primo sistema ha sviluppato una serie consistente di posizioni corporee, alcune anche molto difficili da eseguire, ed un certo numero di tecniche di prānāyāma, conosciute anche come respirazioni yoga, con una loro relativa complessità esecutiva, nel Kriya yoga troviamo in pratica una sola posizione e, in sostanza, un solo tipo di prānāyāma, anche se, essendo quest'ultimo l'esercizio cardine su cui si basa l'intero sistema, ne sono previsti degli sviluppi in quelli che vengono chiamati kriya superiori ( oppure secondo, terzo, ecc..). Questa pratica, consciuta con il nome di Kriya Prānāyāma, è in sostanza un profondo metodo di pulizia interiore ai vari livelli dell'essere; questi differenti livelli di "pulizia" sono chiamati "Shuddhi" ed intervengono progressivamente per togliere le scorie interiori che tengono nascosto lo Spirito, di modo che, rendendolo pienamente manifesto, l'aspirante possa eventualmente farne l'esperienza. A seconda delle caratteristiche karmiche di ogni individuo questo processo di pulizia può durare anche per diverse incarnazioni, secondo quanto sostiene la filosofia yoga, ed i fatti che portarono Lahiri Mahasaya, in una nuova incarnazione, presso il suo guru ne sono un esempio. Ma un'aspirante determinato che esegue la tecnica con sforzo regolare e costante può giungere alla meta anche nella sua attuale incarnazione o addirittura in un tempo più breve, se le sue condizioni karmiche sono favorevoli. Per chi si accinga a tentare questa strada, in base a quanto appena scritto, può sembrare che il giungere alla meta finale del Kriya sia un po' come desiderare la luna ma, benché non esperienza di tutti, diversi affermano di avere raggiunto lo stato di samādhi, forse favoriti dall'aver già eseguito buona parte del processo di pulizia in incarnazioni precedenti.

L'esecuzione del Kriya comporta diverse tecniche che sono state adottate, come già detto, dalla Gitā, dagli Yoga Sutra e dai Tantra Shastra ed armonizzate con i movimenti cosmici degli Yuga. Si raccomanda di praticarlo assiduamente, intelligentemente e secondo il prefissato numero di ripetizioni, l'attenzione deve essere concentrata e la predisposizione interiore amorevolmente appropriata; in questo modo è possibile ottenete risultati tangibili. L'iniziazione al Kriya Yoga consiste in una cerimonia segreta, in un rapporto intimo e privato tra il guru e l'iniziato, anche se non è preclusa, a discrezione del guru, la presenza di discepoli avanzati. Una persona iniziata al Kriya viene detta "Kriyanwita" o "Kriyaban" che significa: colei o colui che è stato attivato. Quindi una persona in cui è stata attivata la consapevolezza e che non continua a illudere se stessa né fa qualcosa per ingannare gli altri. Questa persona è consapevole dei trucchi dell’io, dell'ego, della "ego-ità" e dei meccanismi auto protettivi della mente nelle sue accezioni negative. Dopo avere appreso le varie tecniche il nuovo discepolo le esegue una prima volta davanti al suo maestro dopodiché questi, toccandolo nel punto tra le sopracciglia, gli fa avere una prima rivelazione di luce facendo in modo che possa percepire il terzo occhio ( anche occhio spirituale o Ajna chakra secondo varie terminologie). Questo apparirà come un' anello luminoso di luce bianca che circonda una sfera scura all'interno della quale vi è un punto molto luminoso che, a seconda dell'evoluzione spirituale raggiunta, può essere visto come una stella a cinque punte. L'iniziato deve pagare il corrispettivo di cinque rupie indiane al guru, secondo le istruzioni originali di Babaji, come oblazione per l'istruzione spirituale ricevuta. Questo secondo le consuetudini della tradizione più antica, ma è possibile che oggi le procedure siano anche abbastanza diverse. Siccome esistono diversi metodi di insegnamento e gli allievi hanno differenti gradi di sviluppo, le varie scuole hanno col tempo adottato sistemi leggermente differenti di insegnamento. Vi è il gruppo principale delle tecniche che è molto simile, vi sono diversi tipi di tecniche preparatorie ed altri esercizi complementari che servono come preparazione alle tecniche più avanzate; è in questi ultimi due gruppi che si registrano le maggiori differenziazioni. Di seguito sono riportati singolarmente divisi secondo un certo criterio di ordine che non potrà, in virtù le differenze menzionate, essere l'unico.

 

      

 
Esercizi preparatori al primo Kriya
 

Sono un gruppo di esercizi che vengono insegnati ai principianti e devono essere eseguiti per un certo periodo di tempo, normalmente da sei mesi ad un anno, prima di ricevere la prima iniziazione al Kriya Yoga e diventare quindi "kriyaban". 

 
Tecniche di ricarica energetica
 

Sono tutta una serie di movimenti finalizzati ad un ricarica energetica del corpo fisico e ad una ricarica pranica dei corpi sottili. Furono ideati nel 1916 da Paramahansa Yogananda e fanno quindi parte del piano di insegnamento delle organizzazioni da lui fondate. Lo scopo principale degli Esercizi consiste nel ricaricare la batteria corporea con l'energia cosmica per vivificare il corpo, rafforzare i muscoli e purificare il sangue. Non si tratta di comuni esercizi fisici, ma di una tecnica spirituale, una forma di pranayama o controllo dell'energia vitale. Tutti gli allievi che seguono questa linea di insegnamento devono imparare e praticare questi esercizi per un certo tempo prima di essere pronti a ricevere l'iniziazione al Kriya Yoga e sono tenuti ad eseguirli regolarmente mattina e sera, quale parte della loro regolare routine spirituale.

 
Tecnica dell Hong-So
 

É una pratica comune anche ad altre forme di yoga, cambia semmai la fonetica del suono che può anche essere So-Ham o altro ancora. Si basa sul concetto di osservazione del respiro, senza alcun tipo di interferenza con esso, e sulla ripetizione di un mantra, che è quello che dà il nome alla tecnica. Anch'esso fa parte del programma di addestramento dei principianti che fa capo alle scuole fondate da Paramahansa Yogananda.

 

Tecnica dell'OM
 

É un esercizio preparatorio di meditazione per introdurre i principianti alle tecniche di meditazione più avanzate; è già un esercizio di meditazione vero e proprio e consiste nella ripetizione ritmica del mantra OM, il suono cosmico, eseguito con la chiusura delle orecchie in modo da potersi immergere più profondamente nell'interiorità. Richiede un tempo di esecuzione relativamente prolungato per cui è consigliato l'ausilio di una apposita attrezzatura di sostegno per le braccia.

 
OM Japa
 

Per poter praticare proficuamente l'OM japa l'allievo deve avere già acquisito, almeno in via teorica, nozioni riguardo al corpo sottile ed ai chakra, che sono i centri energetici dell'essere ed i cui principali sono situati entro la sushumna, il canale energetico (nadi) primario dell'intero apparato dell'uomo. Japa significa letteralmente "mormorio", ripetizione di un mantra, ripetizione del nome di Dio. La mente assume la forma dei propri pensieri e ne viene plasmata, cosi che i buoni pensieri fanno una mente buona, e i pensieri cattivi fanno una mente cattiva. Il japa viene usato per liberare la mente dalle chiacchiere oziose, dalle idee invidiose e dalle fantasie, in modo che si rivolga verso i pensieri dell'anima e di Dio. È la concentrazione di una mente agitata e vagabonda su un singolo pensiero, atto o sentimento. Lo scopo del mantra japa è controllare e concentrare la mente perturbata su un unico punto, ed è legato ad un unico pensiero. Mantra è un inno vedico o una strofa musicale, la cui ripetizione è japa, o preghiera. Ciò deve essere fatto con sincerità, amore e devozione, che sviluppano la relazione tra l'uomo e il suo Creatore. É forse il più completo degli esercizi preparatori in quanto include già elementi di concentrazione e movimento della consapevolezza lungo le direttrici dei centri sottili e sui medesimi. Anche in questa tecnica è contemplato il canto di un mantra, OM o altro, ritmicamente si vari centri sottili, normalmente svincolato dalle fasi della respirazione.

 

 
Tecniche proprie del primo Kriya
 

É la sequenza di tecniche del primo Kriya vero e proprio. Al di là delle minori differenze di insegnamento peculiari delle varie scuole sono le pratiche che vengono tramandate da guru a discepolo nell'iniziazione al Kriya Yoga secondo la tradizione di questa antica scienza ed arte.

 
Maha Mudra
 

Il maha mudra è un semplice ed al contempo efficace metodo per rafforzare la spina dorsale e per favorire la giusta distribuzione del prana (corrente vitale) lungo essa. La corretta pratica del maha mudra bilancia equamente il flusso di energia vitale in tutte le parti del corpo. Questa tecnica è stata probabilmente incorporata dai Tantra Shastras quali la Shiva Samhita o la Gheranda Samhita ed infatti nello hatha yoga esiste una pratica che porta lo stesso nome anche se presenta alcune differenze esecutive. Benché si presenti come una sequenza di āsanas non è una posizione ma, come suggerisce il nome, una "mudra" che significa "gesto" o "atteggiamento". Infatti durante la sua esecuzione, qualora si sia in grado di eseguirla nella sua forma completa, oltre alle posizioni si eseguono anche più mudra e bandhas contemporaneamente da cui il nome di maha (grande) mudra (gesto). Chi conosce l'hatha yoga individuerà senz'altro in esso una sequenza di posizioni molto simili a janu sisrsāsana e paschimottānasana benché con i cicli di respirazione sfasati. Dovrebbe essere eseguita tre volte al mattino e tre volte alla sera appena prima della regolare pratica del kriya prānāyamā. Ad ogni modo, data l’efficacia del maha mudra nel magnetizzare ed aggiustare la spina dorsale, questa tecnica questa tecnica può essere praticata ogni volta che il corpo ne necessita. É estremamente benefico per mantenere il praticante in ottima salute ed è di ausilio al mantenimento per lungo tempo della āsana per il prānāyamā e la meditazione.

 
Asana
 

Negli Yoga Sutra Patañjāli definisce āsana "Sthira Sukham Asanam" e cioè una posizione confortevole atta a mantenere il corpo con la spina dorsale eretta, in linea con collo e testa, e la postura a cui fa riferimento è indubbiamente quella preposta allo sforzo spirituale dello Yoga. Nell'hatha yoga ci sono varie posizioni adatte a questo scopo ma quella più indicata è indubbiamente "padmāsana" o posizione del loto. É la più classica delle posizioni yoga riferita all'immaginario collettivo e cioè seduta con le gambe incrociate, o meglio annodate, in modo che il collo di ciascun piede poggi direttamente sulla coscia opposta. Tecnicamente non è una posizione di estrema difficoltà tuttavia è raro trovare persone in grado di eseguirla immediatamente. É stata concepita, oltre per i vari benefici psico-fisici che comporta la sua esecuzione, come la più atta a sostenere il corpo quando con l'esecuzione del prānāyāma intervengono stati di coscienza interiorizzanti come il pratyāhāra che potrebbero farlo inclinare. All'inizio è probabile non riuscire a praticare questa postura pertanto sono ammesse anche posizioni come il "mezzo loto", con una sola gamba "annodata", siddhasana, o anche una posizione seduta con le gambe semplicemente incrociate. Data la scarsa affinità degli occidentali con queste posizioni Yogananda consentì anche una posizione semplicemente seduta su una sedia, purché con la spina dorsale eretta e la testa ed il collo in linea. In linea di massima però, chi volesse praticare il Kriya yoga secondo i dettami classici dovrebbe abituarsi a tenere almeno la posizione del mezzo loto. Riguardo ai dettami di Patañjāli relativamente al terzo gradino dello yoga le pratiche del Kriya sono tutte incluse nell'esecuzione di questa postura.  

 
Kriya Prānāyāma
 

Il quarto gradino della scala dello yoga disegnata da Patañjāli è il prānāyāma, che può essere inteso come controllo del respiro o anche controllo dell'energia vitale, o prana. Relativamente a questo passo il Kriya incorpora una sua tecnica peculiare, relativamente semplice dal punto di vista esecutivo, in cui è anche implicato l'uso della consapevolezza al fine di arrivare a percepire le sottili correnti spinali che vengono a generarsi durante l'esecuzione di questa tecnica. É il kriya più importante perché è la base su cui si sviluppano poi tutti i kriya superiori ed anche perché contiene già in sé tutte le peculiarità utili al fine di raggiungere l'illuminazione finale. La sua concezione si conforma assolutamente con la definizione di prānāyāma data dalla Bhagavad Gitā in cui si parla della tecnica segreta del sacrificio del prana nell'apana, ossia del respiro inalante nel respiro esalante e viceversa. L'esecuzione di questa tecnica riguarda anche i tre principali nadi (canali energetici) del corpo, ossia Ida, Pingala e Sushumna, poichè è entro essi che il prana viene incanalato per attuare i movimenti cosmici esposti nel capitolo sugli Yuga. Questa analogia è fatta in base alle intuizioni degli antichi rishi dell'India che sostenevano che qualsiasi cosa ci fosse nell'universo (Brahmanda) ci fosse anche nella "pentola" (Bhanda) dell'essere umano. Al settimo chakra, il più elevato, viene associato il principio del sole mentre alla mente umana, nel suo aspetto di "manas", viene associato il principio della luna. Facendo muovere, mediante l'uso combinato e ritmico del respiro e della consapevolezza, il principio interiore della luna dal punto più vicino al principio del sole a quello più lontano, lungo il firmamento rappresentato dal canale sottile della Sushumna, si ottiene lo stesso sviluppo spirituale che si otterrebbe col trascorrere di un mese lunare. Uno di questi "movimenti" completi è chiamato Kriya. Si intuisce che il tempo di esecuzione di un kriya è estremamente inferiore al tempo di un naturale mese lunare e quindi lo sviluppo spirituale dell'individuo risulta molto accelerato. I kriya yogi sostengono che con le appropriate ripetizioni dei kriya si può quindi ottenere il manifestarsi delle quadruplici virtù indicate da Sri Yukteswar, che impiegherebbero invece migliaia di anni, anche nel tempo di una vita media, o meno. Un'altro importante effetto che si ottiene con la pratica del kriya prānāyāma è l'effetto calmante sulle "agitazioni" proprie del prana. L'espressione della vita stessa giace nel prana e nelle sue correnti agitate e la mente ne è parimenti coinvolta. Infatti il prana, essendo intimamente aggrovigliato con il principio mentale di manas fa si che, naturalmente, queste agitazioni si ripercuotano sull'attività mentale dell'individuo. La pratica del kriya prānāyāma ha un percepibile effetto calmante sulla mente e sui pensieri che continuamente e convulsamente si affacciano in essa ed una mente così tranquillizzata può rivolgersi all'interno, pronta alle esperienze di realizzazione spirituale. Questo controllo che viene esercitato sulla forza vitale o prana ha un effetto ristoratore anche sui nervi involontari che altrimenti lavorerebbero ininterrottamente per tutta la vita senza un attimo di riposo. I nervi volontari infatti vanno a riposo durante il sonno ma non i nervi involontari ed il kriya aiuta il corpo fisico in questo modo, ponendo le basi per una ipotetica lunga vita. Una spiegazione scientifica degli effetti del Kriya prānāyāma è riferita al funzionamento del cuore il cui battito è necessario affinché l'ossigeno inspirato dai polmoni possa ossidarsi, tramutandosi in anidride carbonica, per fare avvenire il processo del metabolismo che fornisce al corpo l'energia necessaria alla vita. La profonda respirazione associata a questa tecnica, fornendo ossigeno in eccesso, dà un po' di riposo al cuore ed ai relativi nervi involontari e questo effetto, assieme  quello del rilassamento mentale dovuto al rilascio della presa del prana, procura un benefico effetto ristoratore.

Coerentemente con lo schema per il quale questa profonda tecnica è stata intesa, l’esatto numero di Kriya che deve essere eseguito in ogni seduta ha un’importanza rilevante. E’ il Maestro che dà la direttiva circa l’esatto numero di Kriya che devono essere praticati ad ogni seduta ed ogni giorno, a seconda delle capacità acquisite dall’adepto e dalla sua determinazione e sincerità verso il sistema. Il Kriya si presenta, in definitiva, come una operazione di profonda pulizia, di purificazione del "corpo sottile". La parola usata per questo è "Shuddhi." Si dice che in un’ anno solare gli elementi interni del corpo come carne e sangue subiscano un intero ricambio. Sappiamo che un’ anno solare equivale a qualcosa di più di dodici mesi lunari. Si deduce quindi che un kriyaban appena iniziato al Kriya debba eseguire almeno tredici Kriya in una seduta per assicurare che l’equivalente di un’ anno solare di ricambio e pulizia interiori sia completato. Di fatto si raccomanda l’esecuzione di quattordici Kriya in una seduta perché il primo potrebbe non venire eseguito con la debita cura. Questo valore di Kriya (12-14) è detto essere un "Jada Shuddhi." Un Jada Shuddhi è quindi un ciclo di pulizia delle impurità del corpo nella sua totalità secondo le leggi naturali. Il numero dei Kriya eseguiti in ogni seduta deve poi essere aumentato per raggiungere un altro grado di pulizia, più fine. Questo numero è determinato dal Maestro che sa come guidare il kriyaban attraverso i vari stadi di pulizia. La conoscenza di questo gli viene dalla sua esperienza dall’avere ultimato con successo i Kriya superiori ed avere raggiunto il traguardo.

Il successivo, importante livello di pulizia è chiamato "Nadi Shuddhi." Tre anni solari si dice che costituiscano una frazione di Yuga, o Khanda Yuga. Tre anni solari equivalgono approssimativamente a trentasette mesi lunari. Si dice inoltre che durante un periodo di questa durata abbia luogo una naturale pulizia dei Nadi. Perciò l’esecuzione di almeno trentasette Kriya in una seduta è stimata come equivalente a trentasette rivoluzioni della luna attorno alla terra. Un ciclo completo di questo tipo è considerato un "Nadi Shuddhi." Alcune tradizioni del Kriya sono solite raggruppare secondo il numero 36 (tre pratyāhāra) come base per l'unità di pratica. Altre indicano invece in 39 questo numero (37 + 2 di sicurezza). In pratica quindi i numeri base delle ripetizioni ruotano tra il 36-37 ed il 39 a seconda della tradizione di appartenenza. Il Guru decide di conseguenza. L’ulteriore importante fase consiste nella pulizia dell’interezza degli attributi fisici dell’essere, il periodo durante il quale l’intero apparato corporeo viene ricaricato e rinfrescato. Questo è il "Bhuta Shuddhi", che si dice avvenga nello spazio temporale di dodici anni solari. Questo periodo di dodici anni solari equivale a quattro volte un Khanda ( frazione di Yuga ); in altre parole - 4 x 37 - cioè 148 mesi lunari. Ad un Kriya Yogi determinato e concentrato, che abbia già acquisito il debito grado di evoluzione, è consigliato completare almeno tre Bhuta Shuddhi ogni giorno. Alcuni sono anche in grado di eseguirne quattro con successo.Ricordiamoci però che a questo stadio si è ancora dei principianti e facciamo, sulla base di quanto esposto, una pura considerazione pratica; a seconda di una combinazione del proprio grado di sviluppo spirituale e la propria preparazione fisico-respiratoria si possono dividere i kriyaban in quattro diverse categorie, così come spiegato da un'eminente discepolo di Lahiri Mahasaya - Sri Bhupendranath Sanyal Mahasay:

  • Eccellenti:

sono in grado di praticare circa 80 Kriya in un'ora, il che significa che ogni ciclo completo viene eseguito in 45 secondi. I migliori riescono ad arrivare anche a 60, il che significa circa un ciclo di respirazione al minuto.

  • Medi:

riescono a fare sui 100 cicli in un'ora, quindi cicli della durata di 35-36 secondi ognuno.
  • 3° Categoria:

dai 120 ai 150 Kriya in un'ora; ciacun ciclo è compiuto in 24 - 30 secondi
  • 4° Categoria:

dai 175 ai 200 Kriya in un'ora; ciacun ciclo è compiuto in 18 - 20 secondi

Presa in considerazione la categoria degli eccellenti, a cui un praticante serio deve tendere ed arrivare, Lahiri Mahasaya diceva che 12 Pranayama (Kriya) producono lo stato di Pratyhara, 144 (cioè 12 x 12) portano il praticante allo stato di Dharana...e così di seguito. Secondo questi insegnamenti si deduce che l'esecuzione di un "Bhuta Shuddhi" (148 Pranayama) è in grado di portare il praticante allo stato di concentrazione o Dharana, il sesto gradino dlla scala di Patañjāli.

Quindi da 12 a 14 sono i numeri base delle ripetizioni


Stabilite le ragioni relative al numero delle ripetizioni cerchiamo ora di vedere perché è stabilita una pratica di due volte al giorno; con la pratica il sistema nervoso è gentilmente indotto a funzionare secondo un diverso modo, trovandosi e mantenendosi in uno stato profondo silenzio, talvolta anche di pura, beata coscienza. Più avanti poi, con la pratica continua, quando Kundalini comincerà ad attivarsi, quello stato evolverà verso una beatitudine estatica. Questo stato però tende a svanire durante la vita "esteriore" quotidiana, normalmente in cinque-dieci ore. Questo è il motivo per cui è stabilita una pratica di due volte al giorno, perché in questo modo si riesce a ri-stabilire il modo di funzionamento "più alto" del sistema nervoso (e del corpo pranico), ottenendo il migliore e più alto grado di purificazione e crescita possibile durante le ore di veglia per le persone che conducono una vita attiva. Con lo stabilizzarsi della pratica secondo questo schema, i tempi di caduta dallo stato più alto di coscienza nello stato di attività ordinaria, tendono a diminuire finché lo stato di funzionamento del sistema nervoso al "livello superiore" diventa fermo e stabile sulle intere 24 ore. Questo è il frutto del processo: illuminazione nell'attività quotidiana ed anche di notte. É la continuità del ciclo di pratica ed attività che produce questo risultato. Tutto questo è pianificato per il massimo progresso compatibilmente con la natura del sistema nervoso, del quale ne viene fatto un uso appropriato secondo le sue naturali potenzialità per l'illuminazione, bilanciato con il tempo che si ha a disposizione per la pratica. Con questi strumenti si è al timone della nave. La pratica costante, secondo i tempi ed i modi indicati, a lungo termine è quella che farà la differenza alla fine. Questi sono veri e provati principi di rivelazione che possono essere usati da chi si sente di intraprendere il viaggio verso l'illuminazione.

Nota: Si consideri che qualora si riesca ad introdurre appropriatamente nel proprio ciclo di vita l'esecuzione di due routine al giorno di Kriya pranayama con i relativi esercizi pre e post esecuzione, non è esattamente una cosa leggera. Esecutivamente sono esercizi abbastanza semplici, ancor di più per chi ha praticato yoga a vari livelli per qualche tempo, ma gli effetti sull'intero sistema psico-fisico sono avvertibili. Un po' come quando si pratica Hata-Yoga agli inizi; si avverte come una specie di "scossa", magari per un po' alcuni cicli vitali mutano la loro risposta o la loro esecuzione quotidiana, per poi, una volta "assorbito il colpo" assestarsi su un nuovo livello vitale. Con il Kriya si verifica circa la stessa cosa, anche se gli "effetti" sono avvertiti meno sul piano fisico e maggiormente su altri. Il consiglio è, qualora si avvertissero sensazioni generali troppo forti o addirittura di disagio, di praticare solo una volta al giorno ed "osservare" quanto ne deriva. Non mi stancherò mai di sottolineare come in un viaggio il punto di partenza abbia una importanza rilevante! Se fosse il caso quindi, per i primi tempi può essere utile praticare anche solo una volta al giorno, assestarsi per bene, per poi avviarsi alla pratica di due volte. Questo tipo di procedimento, essendo il tempo di "sotto-funzionamento" del sistema nervoso molto più prolungato, produrrà effetti di "crescita" indubbiamente più rallentati, ma se l'alternativa deve essere uno strappo muscolare credo sia ragionevole fare un pò di riscaldamento prima. Se ci sono dei gradini meglio farli uno alla volta, se non ce ne fosse bisogno, si andrebbe direttamente al secondo piano senza bisogno nè di scala nè di gradini. Similmente nel Kriya non ci sarebbe un primo, un secondo, ecc.. Molto importante è, secondo me, stabilire per bene da dove si parte. Se sei già un Cristo illuminato bene, non c'è nemmeno bisogno del Kriya, altrimenti si farà la strada che si deve fare.

Conclusioni: Considerando quindi un principiante, in buone condizioni generali, lo si può collocare ampiamente all'interno della 3° categoria. Solo i cicli di Kriya, escludendo tutte le preparazioni (Maha Mudra - Yoni Mudra ed un minimo di permanenza nello stato post-seduta, prendono circa 10 minuti di tempo. Agli inizi, quindi, risulta evidente che almeno una mezz'ora per seduta, minimo due volte al giorno bisogna prendersela. E va ricordato che la fretta, nel Kriya, è un nemico dichiarato, intendendo con questo dire che non è buona pratica passare immediatamente da una attività esterna, sensoria, alla pratica interiorizzante del Kriya. Si comprenderà bene che una troppo brusca inversione delle correnti sensorie potrebbe facilmente creare dei "turbini" piuttosto che delle calme correnti fluide. Un kriyaban molto avanzato necessiterà poi di almeno due ore per seduta, solo di cicli di Kriya, per due-tre volte al giorno. É chiaro che per un'occidentale con carico familiare ed una occupazione che richieda un impegno medio, considerato secondo gli standard del mondo "civilizzato", si impongono delle scelte piuttosto nette.

 
Dhyāna
 

Dopo avere completato il numero prestabilito di kriya il praticante continua a rimanere quietamente nella sua posizione contemplando la sensazione di calma che ne deriva. Lasciarsi assorbire da questa calma è come gioire del nettare che spilla da un epico mare latteo. La mente dovrebbe gradualmente distaccarsi da tutti i pensieri ed immergersi nella vastità della quiete e della calma senza fine. Questa parte della routine è destinata al controllo della mente ed al suo rilassamento per potere eventualmente scivolare nel "nulla" del Samadhi. Questa è la più bella parte della routine. Dopo alcuni minuti, la parte superiore della testa comincia ad essere sempre più illuminata e il kriyaban continua a concentrarsi per molto tempo su di essa senza provare alcuna fatica. Lahiri Mahasaya chiamò questo stato semplicemente Paravastha, "stato dopo il Kriya". Questo termine si collega col concetto di Tranquillità, "Sthir Tattwa" o Prana calmo, statico che è sperimentato negli ultimi minuti di una seduta di Kriya. È saggio rimanere in questa dimensione il più a lungo possibile: l'ideale è da dieci a venti minuti.

 
Yoni Mudra
 

I due occhi fisici rivelano la materia; il singolo occhio spirituale rivela lo Spirito. Lo scopo della pratica dello yoni mudra (chiamato da alcune linee jyoti mudra ) è quello di vedere la luce nell’occhio singolo per mezzo del proprio sforzo e di trovare attraverso l’occhio spirituale la guida dell’onnipresente, onnisciente Coscienza Cristica. La percezione dell’occhio spirituale non è raggiunta attraverso la suggestione ma è una esperienza reale. Quando gli occhi e la mente dello yogi sono calmi e concentrati su un singolo punto nel centro della Coscienza Cristica tra le sopracciglia, là egli vede la luce dell’occhio singolo. Lo Yoni Mudra dà questo battesimo spirituale di luce. La carne non è altro che energia condensata. Vedendo la luce di intuizione infallibile dell’occhio spirituale si può comprendere quello che voleva significare Gesù quando diceva:

“La lucerna del tuo corpo è l’occhio. Se il tuo occhio è sano anche il tuo corpo è tutto nella luce, ma se è malato anche il tuo corpo è nelle tenebre. Fa dunque che la luce che è in te non sia tenebra. Se il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere alcuna parte nella tenebra, tutto sarà luminoso come quando la lucerna ti illumina con il suo bagliore

(Luca 11:34,35)

Lo scopo dello Yoni Mudra è di impedire che la forza vitale fugga attraverso le aperture di orecchie, naso e bocca nella testa e di usare la forza vitale catturata per illuminare l’occhio singolo. Ma per ottenere risultati occorre seguire fermamente il cammino dell’Auto-Realizzazione praticando tutte le tecniche di meditazione fedelmente e con devozione. Prima di praticare lo Yoni Mudra si offra una preghiera come segue:

Padre, guidami con la Tua saggezza attraverso la stella dell’occhio spirituale.
Possa la mia coscienza seguire alla Sua sorgente la colomba di luce discendente dal Paradiso
e che io sia battezzato nella Coscienza Cristica.
Padre, mostrami sempre l’occhio singolo.
Incontrami sempre attraverso l’occhio spirituale

All’inizio l’occhio spirituale può apparire differente per persone diverse, ma quando è visto perfettamente apparirà come una stella a cinque punte nel centro di una sfera di colore blu circondata a sua volta da un’ alone dorato. L’alone dorato esterno rappresenta, in termini di colori astrali, la vibrazione dell’Energia Cosmica dello Spirito Santo; la sfera blu rappresenta la vibrazione della Coscienza-Cristica che pervade tutta la creazione. Penetrare la sfera blu è entrare nella telescopica porta della Coscienza Cristica stessa. La piccola stella bianca nel centro rappresenta la pura luce di Dio dietro la creazione. Lo yogi che penetra la stella entra nella Coscienza Cosmica. Il corpo umano è l’ esternalizzazione del potere che c’è dentro la piccola stella. La testa, le due mani ed i due piedi sono simbolizzati nei cinque raggi della stella. Questi raggi sono materializzati nei cinque elementi ( terra, acqua, fuoco, aria ed etere ) di cui il corpo umano è composto.

L’uomo mondano vive come un pulcino dentro l’uovo. La terra è il giallo ed il cielo è il guscio. Come il pulcino è confinato dentro l’uovo finché non diventa abbastanza grande e forte da rompere il guscio ed uscire in un mondo più grande, similmente l’uomo comune è confinato in questo mondo circondato dal cielo finché non scopre il telescopico occhio spirituale attraverso il quale può perforare il guscio di cielo ed esplorare le sfere oltre esso. Usando l’occhio spirituale egli proietta la sua coscienza attraverso il guscio dell’universo materiale ed entra nel più sottile reame la cui bellezza nessuna lingua può descrivere. La sua visione si estende attraverso il cosmo nell’infinito.

 
Tecniche complementari
 

Nel cammino interiore del Kriya Yoga, affinché possa avvenire il risveglio e la salita di kundalini shakti verso il Sahasrara, il settimo chakra, occorre che la sushumna nadi non sia ostruita. All'altezza di alcuni chakra, i centri energetici situati entro di essa, e nei chakra stessi ci sono come dei "nodi" che oppongono resistenza al passaggio di questa energia. Molte delle tecniche complementari al primo kriya sono state concepite appunto per contribuire allo scioglimento di tali nodi. Riassumendo drasticamente, il Kriya di Lahiri Mahasaya è sostanzialmente diviso in quattro stadi:

Azione Nodo Tecnica preposta
scioglimento del nodo della gola jioha granthi kechari mudra
scioglimento del nodo del cuore hridaya granthi  thokar (secondo kriya)
apertura del nodo dell' ombelico navi granthi navi kriya
scioglimento del nodo del coccige muladhar granthi maha mudra e quarto kriya

dopodiché, al Muladhara, il respiro ( vayu ) diventa tranquillo ( sthira ) e tutte le cose misteriose accadono; diviene quindi possibile l'attivazione di Kundalini. In definitiva per ottenere il respiro tranquillo al Muladhara occorre prima che i tre nodi che stanno sopra vengano sciolti secondo un' ordine predefinito, che è discendente (cioè prima la gola, poi il cuore e quindi l' ombelico). Solo così "sthira vayu", che si genera nella gola, può muoversi verso il basso attraverso la lingua e con il suono interiore di OM attraversare nell'ordine il centro del cuore e quello dell' ombelico ed infine arrivare in basso al centro coccigeo da dove può infine risalire risvegliando Kundalini. Questo è, in sostanza, il processo di come viene risvegliata Kundalini nel Kriya originario di Lahiri Baba.

Nota: Queste poche e concise note possono, col dovuto tatto, servire da paragone per determinare se il Kriya che si sta seguendo è quello originario oppure una variante. Per esempio, nel gruppo di pratiche facenti parte della prima iniziazione nel Kriya di Lahiri Mahasaya sono quasi certamente incluse: talabya kriya (preparazione per il kechari mudra), pranayam, nabhi kriya, yoni mudra e maha mudra, ma alcune organizzazioni non includono nè il navi kriya né il talabya kriya e, in alcuni casi, insegnano il pranayama secondo una versione modificata. Quale è la forma di Kriya più efficace per noi, per i nostri tempi e per la zona dove viviamo e pratichiamo ? Riescono le pratiche che mettiamo in atto a sciogliere e ad aprire i vari nodi (o granthi) menzionati sopra ? Io non ho di certo questa risposta, anzi credo che una in assoluto non esista, ma ciascuno può sicuramente mettersi alla ricerca di quella più confacente a sé stesso.

 
Talabya Kriya
 

É un esercizio per l'allungamento del frenulo, una sorta di costa morbida ed elastica situata sotto la lingua. L'esecuzione del Kechari Mudra, e quindi del Talabya Kriya che ne è la preparazione, non è immediatamente importante per chi si avvicina al Kriya all'inizio e non lo è nemmeno per l'esecuzione del primo Kriya. Siccome è richiesto da molte "correnti" come indispensabile per l'esecuzione dei Kriya superiori, il fatto di cominciare ad allenarsi in anticipo potrebbe rivelarsi utile per il futuro, qualora si fosse interessati a proseguire questo cammino. L'azione che viene esercita sul frenulo ha comunque come risultato quello di un forte calmante per il divagare della mente e dei pensieri. Molte persone praticano il Talabya Kriya in modo sbagliato poiché volgono istintivamente indietro la lingua, o la tengono verticale, e questo annulla completamente l'effetto. È importante che essa, prima di aderire al palato, sia piatta, rivolta in avanti, toccando i denti. Questa pratica crea un distinto effetto calmante sui pensieri ed è per questa ragione che non sarà mai messa da parte, neanche quando il Kechari Mudra sarà realizzato. Non è facile giustificare per quale motivo, agendo sul frenulo, sia possibile riuscire a calmare il processo di formazione d’inutili pensieri; questo è un fatto che rimane misterioso. Sta di fatto che chiunque può osservarlo.

 
Kechari Mudra
 

É la tecnica preposta allo scioglimento del nodo della gola e consiste nell'inserire la lingua nella cavità della faringe nasale, dietro l'ugola, e mantenerla stabile in quella posizione con un preciso sforzo fisico e mentale, all’inizio aiutandosi con l’aiuto di una o due dita che spingono alla radice della lingua. Ad alcuni riesce l'esecuzione di questa mudra attorcigliando la lingua ed entrando di lato, anziché abbassandola ed entrando dal centro. Si ricorda che Lahiri Mahasaya era fermamente contrario a tagliare il frenulo per accelerare tale processo, benché taluni sostengano che l'esecuzione finale completa consista nel raggiungere dall'interno il punto tra le sopracciglia e questo sarebbe fisicamente possibile solo con, appunto, il taglio del frenulo. Alla sommità di "Meru" (la colonna vertebrale), nascosta in un foro, c'è "Somarasa", il nettare di Chandra. Il saggio, il cui intelletto non è dominato da tama e raja guna ma è stabilito nel sattva guna dice che in esso risiede lo Spirito Universale. É la sorgente dei nadi discendenti Ida, Pingala e Susumna attraverso i quali Chandra, l'essenza del corpo che causa la morte dell'uomo, viene versato. Questo processo dovrebbe quindi essere fermato ed il kechari mudra è un' ottimo modo per farlo. Non c'è nessun' altro mezzo per raggiungere questo fine.

É bello pensare che, come dice la leggenda, lo yogi che siede per un minuto con la lingua rivolta all'insù (eseguendo il kechari mudra) è preservato dall'azione del veleno, della malattia, della vecchiaia e perfino della morte. Non è inoltre macchiato dal karma e riesce a sfuggire alla trappola del tempo.


Ulteriori approfondimenti di questa Mudra, molto importante nella pratica del Kriya, si possono trovare più avanti.

 
 
 
Navi Kriya
 

Il Navi Kriya ha una posizione decisamente controversa: mentre è uno dei pilastri, al pari del Prānāyāma, delle scuole che si propongono di tramandare il più fedelmente possibile gli insegnamenti del Kriya originario di Lahiri Mahasaya, ha invece un ruolo decisamente più marginale o non se ne trova addirittura traccia in altre linee, pur autorevoli e con lignaggio di tutto rispetto. É la pratica volta allo scioglimento del nodo del chakra manipura, che ha la sua corrispondenza fisica all'altezza dell'ombelico. Praticamente vengono eseguite delle leggere, ritmiche pressioni con i pollici all'altezza dell'ombelico e, successivamente nella spina dorsale all'altezza della prima vertebra lombare, il tutto al canto del mantra OM. Man mano che si procede con la tecnica si percepisce una calma energia che si raccoglie nella sede della corrente Samana nella parte media bassa dell'addome.

 
Prānāyāma mentale
 

Le tecniche dell' OM japa e del Prānāyāma mentale possono, sulle prime, apparire simili, ma presentano delle diversità e sopratutto sono differenti gli obbiettivi. La prima può essere intesa come un "riscaldamento" da farsi prima del Pranayama, con lo scopo di creare uno stimolo relativamente forte in ciascun Chakra, e questo risulta ancora più evidente quando il mantra è vocalizzato. Ma il tempo di "sosta" in ciascun Chakra è abbastanza breve, quello appunto di farvi vibrare il mantra. Il Prānāyāma mentale invece, oltre che essere un sostitutivo in caso di impossibilità fisica ad eseguire il Prānāyāma nella sua forma completa, è anche un'esercizio per cercare di svincolarsi dalla "tirannia" del respiro. Quest' ultimo diventa infatti molto più silente ed interiorizzato e tutta la procedura non segue il suo ritmo ma la tendenza è inversa, cioè che il respiro segua la mente. Ne risulta uno stato interiore molto più passivo, dove si è molto più inclini a percepire piuttosto che a stimolare e, svincolati dai tempi forzati del respiro di cui ci si tende a dimenticare, si ha la possibilità di sostare molto più a lungo in ciascun Chakra e quindi di entrare in intimità con esso. I Chakra sono come dei nodi che possono essere sciolti "toccandoli" lievemente con la concentrazione: il segreto è di mantenere la consapevolezza in ciascuno di loro fino a percepire una particolare sensazione di dolcezza, come se quel Chakra si stesse appunto "sciogliendo". Non si ha la sensazione di star praticando una particolare tecnica, ma di gioire di un momento di riposo, di dolce rilassamento. Oltre alle percezioni descritte, si cerca di percepire la sottile irradiazione che si origina da ciascun Chakra. Questo non è un complicato particolare tecnico, ma solo un fatto di pura consapevolezza, un naturale sentire che conduce a realizzare come i Chakra sostengono la vitalità di ciascuna parte del corpo. Il processo di salire e scendere attraverso i Chakra è portato avanti fintanto che è agevole e favorisce l'aumento di un particolare stato di assorbimento nella rivelazione di pace, gioia e vibrazione di suoni interiori.

 

Con queste ultime pratiche si esaurisce l'esposizione descrittiva relativa alle tecniche del primo Kriya ed ai suoi preliminari ed accessori. Con la conoscenza pratica di queste tecniche l'aspirante può cominciare a programmare delle routine e a metterle in pratica.

Nota: Esistono parecchie varianti, e tutte valide, tra le varie linee del Kriya. Alcune tradizioni contengono più esercizi ed altre meno perché il Kriya fu insegnato da Lahiri Mahasaya ad ogni iniziato essenzialmente come una scienza individuale, proprio come ad uno studente di piano possono essere insegnati vari tipi di scale ed esercizi a seconda delle proprie attitudini personali o delle proprie necessità di miglioramento. Così nel Kriya, tutti gli insegnamenti erano individuali e variati dalle istruzioni di Lahiri Baba a seconda dell’abilità, della natura e delle condizioni del discepolo. Alcuni dovevano fare più esercizi ed altri meno, solo Lahiri Baba sapeva perché. Noi non possiamo dire che una linea sia meglio di un’altra così come non possiamo dire che “di più” è meglio che “di meno”. Oltre a questo possono esistere molte varianti degli esercizi assegnati. Per esempio a molti è stato impartito il Navi Kriya e ad altri no, ad alcuni è stato insegnato un metodo segreto chiamato “Nad Kriya” e ad altri un metodo per preparare il corpo al Prānāyāma che comporta il sollevamento delle gambe in un certo modo, e così di seguito.

Quelle che sono descritte sopra sono i tratti delle tecniche generalmente comuni a tutte le linee, mentre non c’è menzione di altri metodi o varianti. Tutto questo proviene da Lahiri Baba e credo che nessuno abbia il diritto di giudicare lo stile di Kriya di qualcun altro e dire che è sbagliato. Occorre anche dire che all’interno delle tecniche comuni a tutte le linee esistono differenze circa l’ordine di esecuzione; per esempio ad alcuni fu insegnato di eseguire il Maha Mudra all’inizio del Kriya mentre ad altri fu detto di farlo alla fine della seduta. Sempre relativamente al Maha Mudra ci sono grandi differenze sul numero da eseguirne: alcune linee ne eseguono tre mentre altre solo una ma ogni 10-12 Prānāyāma, ecc… Un Guru può insegnare tutte le tecniche ad un discepolo oppure può insegnarne solo alcune. C'è anche da dire che alcune tecniche sono chiamate con nomi diversi dai vari Maestri. Ad ogni modo và detto che chi ha ricevuto una determinata tecnica ne avrà la conoscenza comunque essa venga chiamata.

Un’ ultima cosa va precisata riguardo al Navi Kriya: in alcune linee fa parte delle istruzioni di base del primo Kriya, mentre in altre è solo un metodo opzionale da usarsi se malati o impossibilitati ad eseguire il Prānāyāma; è da eseguirsi con oppure senza controllo del respiro a seconda del metodo, oppure ancora alcuni devono eseguirlo sia davanti che dietro mentre altri solo in un posto, non in entrambi. C’è anche chi non ha mai ricevuto istruzioni al riguardo e non conosce il Navi Kriya. In mezzo a tanta confusione è quindi saggio seguire le istruzioni del proprio Guru o insegnante qualora se ne abbia uno altrimenti affidarsi alla più profonda ispirazione se si procede da soli. Questo è uno dei motivi per cui Lahiri Mahasaya prescriveva di praticare in segreto, perché le persone non facessero confronti e non giudicassero, venendo così traviati nella propria pratica e riempiendosi di dubbi.

 

Pratica il kriya e vivi semplicemente

Praticare il kriya senza desiderio di risultato. Se lo si pratica con il desiderio di risultato si attirerà il dolore

Chi pratica il kriya con fermezza nel cuore e nella mente, privo di aggressività e pigrizia, vive felicemente

Se si mangia poco e si vive in modo ritirato, avviene il distacco dai sensi

Attraverso il kriya si raggiunge pace, intelligenza, onore, la vita si allunga e si ottiene il samadhi

Coloro la cui mente è divenuta ferma attraverso il kriya, anche se conoscono ogni cosa, dovrebbero comportarsi in mezzo agli altri come esseri terreni

Considera te stesso molto umile. Questo significa che si dovrebbe fare "seva" (servizio), "vandana" (preghiera) e coltivare il sentimento di essere servo di tutti

Fare sempre "Satsanga". Significa il frequentare persone che vivono secondo buoni principi morali e con attitudini spirituali; occorre inoltre il porsi domande riguardo alla propria vera natura ed il leggere elevante letteratura spirituale ("svadhyaya")

Ogni tanto partecipare a gruppi di conversazione che parlano di Dio

Mai mancare di rispetto ad ogni nome o forma di Dio

Alla fine dell'anno, o almeno una volta all'anno, lasciare tutti gli impegni mondani e andare in ritiro spirituale per un mese, una settimana o almeno tre giorni e gioire della solitudine

 

 

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