Perchè il Kriya ? | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
...forse perché ad un certo punto il mondo, così come lo abbiamo percepito fino ad ora, è diventato troppo piccolo. Magari, per qualche ragione, ci capita di avere maggiore consapevolezza delle nostre esperienze di vita ed abbiamo la sensazione che le percezioni che abbiamo durante lo stato di veglia e quelle che abbiamo durante lo stato di sonno, nei sogni che facciamo, abbiano una sostanziale analogia e concludiamo che neanche il mondo esteriore è ciò che ci è sempre sembrato essere. Oppure per dirla con parole di Paramahnasa Yogananda:
In realtà credo che ognuno abbia la propria risposta, la propria ragione e che il vero motivo sia, in definitiva, imperscrutabile. Il Kriya assomiglia un po' all'Università dello Yoga per chi ha già sviluppato conoscenze in altri rami di questa disciplina, ma questa è soltanto una mia osservazione dovuta, forse, alla mia esperienza personale. Già l'Università! Quando ci si arriva il mondo della scuola che si conosceva prima sembra radicalmente cambiato. Informazioni che si trovano a fatica oppure che si trovano presso il primo "bene-informato" che ci scarica addosso più le sue di domande piuttosto che rispondere alle nostre. Professori lontani, che non si trovano quasi mai, che non fanno mai domande né interrogazioni se non in un'unica soluzione alla prima sessione di esami. Lezioni date in aule affollate, altre volte deserte. E poi lo studio; il modo di studiare deve cambiare, non si sa il perché ma si avverte che è così. É vero che se uno potesse avere un professore tutto per sé o almeno per un piccolo gruppo di studenti tutto assumerebbe una dimensione più circoscritta, più affrontabile, magari un po' più "nostra". Ma l'università non è così, almeno per i primi anni, e non è neanche per tutti uguale; c'è chi abita in città e chi invece, e sono molti, è fuori sede. Il quadro che cerco di descrivere assume, a questo punto, contorni più chiari e per renderli ancora più netti mi è utile rifarmi un attimo ad altre parole di verità dell'amato Yogananda:
E allora che fare qualora si volesse tentare di conseguire una laurea? Sicuramente frequentare lezioni, studiare e cercare di capirci qualcosa sono le prime cose ragionevoli che vengono in mente per pianificare un'azione. E se poi sei uno studente lavoratore? Certo le difficoltà non mancano, ma alla scuola superiore qualcosa si è già imparato e sappiamo bene che "rimboccarsi le maniche ed incominciare a lavorare" è sempre una scelta proficua che difficilmente porta cattivi frutti. Ma relativamente al Kriya ed alla sua tradizione siamo sempre in mezzo al guado. Ci sono antiche e rigide norme che governano la trasmissione dell'arte yoga e sono connaturate a ciò che il Kriya medesimo è nella sua essenza. Qualcosa di sacro non può venir trattato alla stregua di qualcosa di profano, è nelle leggi della Creazione! Credo che qualunque sincero ricercatore spirituale, qualsiasi sia il suo grado di evoluzione, riconosca in questo concetto una incontrovertibile verità. E se ci fermiamo anche solo pochi istanti ad osservare il mondo un poco più in profondità ci rendiamo ancor più conto di quanto ciò sia vero. Se abbiamo cercato di porci sulla strada della verità ed abbiamo compiuto anche solo pochi piccoli passi ci troviamo di fronte a qualcosa che assomiglia molto ad un groviglio. Non è obbiettivamente semplice trovare qualcuno che sia in grado di guidarci lungo questo cammino ed ancora più difficile è trovare quanto fa veramente al caso nostro. Certo si potrebbe fare una ricerca e scegliere una organizzazione preposta allo scopo, la più vicina a casa nostra per motivi logistici, e farci un salto. Qui intervengono sicuramente delle scelte di carattere, probabilmente condizionate da esperienze precedenti o da fattori karmici, ma è un dato di fatto che le associazioni non sempre sono adatte a tutti. Non sto dicendo che non siano buone in sé dico che in un campo come quello spirituale non si può andare a casaccio ma occorre assolutamente trovare la propria strada. Anche Yogananada cercò la sua via presso un ashram nel quale sperimentò problemi che lo indussero poi a continuare la propria ricerca altrove; egli dimostrò di sapere cercare la propria strada e così deve saper fare ogni sincero ricercatore spirituale, mi sento di dire che sia una regola alla quale è bene non sfuggire. Per concludere rapidamente questa breve disquisizione riguardo alle organizzazioni anche la più antica tradizione del Kriya dà precise indicazioni al riguardo; Paramahansa Yogananda riporta nell'Autobiografia di Yogi quella che era, a tal proposito, la concezione di Lahiri Mahasaya:
Certo il Sat-Guru è una figura fondamentale per il ricercatole spirituale, è un fatto noto a chiunque si interessi di Yoga, ma non mi sento di dire che sia una scelta saggia quella di sedersi ad aspettare che si manifesti a noi. Credo che a questo punto sia ragionevole pensare che il darsi da fare per cominciare a "bruciare" un pochino del nostro karma "qui e ora" possa entrare nel ventaglio della ipotesi da valutare.
Sono parole di Yogiraj Shyamacharan Baba, un altro appellativo usato dai discepoli di Lahiri Mahasaya per riferirsi a lui, che non sono in antitesi con quanto detto sopra ed anzi, sono un incoraggiamento a lavorare ed a cercare la propria strada. Considerando il fatto che ci troviamo a vivere nella fase ascendente del Dvapara Yuga, sebbene solo agli inizi, e qualora si sia in qualche modo a conoscenza della "tecnica segreta", che sia "quella vera", "quella originale" oppure no (e su questo si potrebbe, ad oggi, quantomeno aprire un paragrafo), il fatto di cercare di comprenderla e metterla sinceramente in atto credo sia la logica conseguenza di quanto esposto sopra. Anche in ragione di quanto accadde sul finire dell'anno 161 del Dvapara Yuga medesimo (1861 d.C.) a Lahiri Mahasaya poco dopo avuta la sua iniziazione al Kriya Yoga da parte del suo Guru Babaji e come riportato nell' Autobiografia di uno Yogi di Paramahnasa Yogananda:
Dopo questo bellissimo esempio di rapporto Guru-discepolo tengo a rimarcare ancora una volta che quanto si potrà trovare esposto, proseguendo nella lettura di queste pagine, non vuole rappresentare la "vera" tecnica del Kriya Yoga, né quella originariamente trasmessa né quella che, attraverso varie linee, è nota in occidente agli albori del XXI secolo come tale, sebbene ciascun conoscitore delle medesime possa trovarvi tante analogie. Si troveranno delle descrizioni generali delle varie tecniche allo scopo di un confronto proficuo, come già detto precedentemente in una ampia premessa, tra quello che è la ricerca interiore e quello che è la ricerca scientifica. Relativamente al solo ambito "spirituale" è quindi evidente che lo scopo di quanto trattato qui non è certo quello di dare l'iniziazione ad alcuno, ma piuttosto quello di tentare di fornire ad ogni eventuale sincero ricercatore una visione "scientifico"-preliminare di quanto potrebbe essere un giorno, a grandi linee, il proprio piano di sviluppo. Infine è doveroso precisare che, allo stato attuale, più che un prospetto definitivo, le esposizioni che seguiranno hanno una natura più vicina agli appunti di uno studente iscritto a un qualche anno del corso di laurea che non ad una pubblicazione di un' affermato professore in cattedra.
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Requisiti e Osservanze | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Prima di cominciare a parlare della pratica dello yoga, almeno secondo quella che ne è la mia concezione, vorrei disquisire brevemente su tre argomenti che personalmente ritengo molto importanti per chi si apprestasse a tale esperienza e precisamente l'alimentazione, la sessualità e la disciplina. Credo infatti che una appropriata filosofia di vita, conforme a quello che è l'ordine naturale delle cose, sia una buona compagna di viaggio da portare con sé. Ho raggruppato assieme questi tre componenti per cercare di trattarli da un punto di vista unificante piuttosto che portare avanti una speculazione mentale tendente a suddividere gli argomenti in campi separati. Come ben sa ogni conoscitore della filosofia dello yoga, relativamente alla manifestazione vibratoria della creazione, si nota che tutte le cose stanno tra loro in "rapporti di forze"; e non solo le cose materiali ma anche quelle più sottili. E così gli esseri umani, a loro volta, sono regolati primariamente da rapporti di forze che, sia l'ambiente esterno che il proprio ambiente interno, gli impongono. La prima e più evidente di queste forze è lo spirito di sopravvivenza o istinto di conservazione al quale è legato il fattore dell'alimentazione. Se, come è vero, ogni forza che agisce su un sistema genera una reazione uguale e contraria, la reazione a questa forza primaria è ben evidente nel comportamento degli umani, i quali cercano in primis di procacciarsi vitto e alloggio, cioè le condizioni di base migliori per garantirsi, appunto, la sopravvivenza. Lascio le disquisizioni circa il tempo, i modi e le energie implicate in questo perseguimento alle deduzioni personali di ognuno, ben sicuro che si tratti di una fetta molto grossa della vita di ogni persona. Immediatamente dopo la sopravvivenza viene la spinta a riprodursi, che si estrinseca naturalmente nella forza della sessualità. É così fortemente manifesta in ogni essere umano che, senza dilungarmi troppo nel tentativo di opinabili teorie riguardo a tempi e modi, è preferibile anche qui lasciare il più ampio spazio alle considerazioni personali di ciascuno, ben certo che chiunque abbia chiara perlomeno la propria risposta. Le energie dedicate alla relativa rincorsa sono la naturale conseguenza delle deduzioni di cui sopra. Oltre a queste due forze imperanti, comuni tra l'altro anche a tutto il resto del regno animale, si può prendere in considerazione l'unico fattore equilibrante, peculiare solo al genere umano, che si potrebbe definire come "condotta morale" o "disciplina", e che mi piacerebbe tradurre come "una organizzazione conveniente, delle suddette forze primarie, atta ad incanalarle verso mete più consone alla natura propria dell' essere umano in quanto tale".
Lo stesso significato è espresso nelle le parole del Buddha:
Concluso questo tentativo di disquisizione unificante introdurrei ora più nel dettaglio i tre argomenti trattati in questa sezione, cercando di farlo bel lungi da qualsiasi posizione assolutistica, ma più semplicemente dal punto di vista della purezza del Kriya, così come tramandato dalla tradizione medesima. |
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Alimentazione | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
É stato scritto molto riguardo ai benefici fisici derivanti dall'essere vegetariani, ed in un'altra sezione ho fatto una disamina più dettagliata riguardo a questo, ma dal punto di vista dello Yoga quello che è di massima importanza nella dieta sono gli effetti che si ripercuotono sullo stato di coscienza. Ciò che viene ingerito influenza il modo di pensare ed il comportamento. Il praticante Yoga dovrebbe quindi astenersi dal consumo di carne ed alimenti intossicanti in genere, a causa delle tendenze animali e degli effetti sul sistema nervoso che questi tipi di alimenti vanno a stimolare. Le conseguenze dell' assunzione di questo tipo di cibi diminuiscono di molto, quando anche non arrivano quasi ad annullare, i benefici che si hanno con la pratica dello Yoga. Un eccessivo uso di alimenti ricchi di grassi, zuccheri raffinati, troppo elaborati o ottenuti con processi industriali non sono quindi raccomandati. Cibi che stabilizzano la coscienza e sono più facili da digerire favoriscono invece l'utilizzo delle energie nello Yoga piuttosto che in una difficoltosa digestione. É quindi caldamente consigliata una dieta a base di cibi non raffinati e che non abbiano subito trattamenti industriali, tipici del luogo e di stagione e ben equilibrati dal punto di vista energetico. Come constatato anche da vari studi scientifici, un regime alimentare di questo tipo può essere conveniente anche solo per limitare l'incidenza di varie malattie che sono molto diffuse nella nostra epoca come cancro e disfunzioni cardiache. |
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Sessualità | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L’istinto naturale della riproduzione che, dopo quello di conservazione, è l’istinto più forte nel corpo animale ha, come ogni altro desiderio e per azione della dualità presente nella creazione, uno stato normale e uno stato anormale o morboso; quest’ultimo, che spesso trascende nella lussuria, è determinato unicamente dalle sostanze estranee che si accumulano quando si vive innaturalmente, come accennato nella sezione relativa all’alimentazione. Quando per reprimere l’istinto sessuale si ricorre a mezzi estremi, quali ad esempio il digiuno eccessivo, la flagellazione, la clausura o la forzatura mentale, raramente si raggiunge l’effetto desiderato. Invece è stato provato che l’uomo può facilmente superare quelle passioni, le grandi avversarie della moralità, conducendo una vita naturale e seguendo una dieta non irritante; in questo modo si consegue quella calma mentale che ogni psicologo riconosce come lo stato più congeniale all’attività della mente, e che conduce ad una chiara comprensione e ad un' imparziale modo di pensare. Nel desiderio sessuale ciascuno trova il termometro del proprio stato di salute. Il desiderio sessuale viene deviato dal suo stato normale dall’irritazione dei nervi provocata dalla pressione che le sostanze estranee, accumulate dall’organismo, esercitano sull’apparato sessuale; all’inizio si manifesta un aumento del desiderio, seguito poi da una progressiva diminuzione del potere sessuale stesso. Nel suo stato normale, il desiderio sessuale agisce sull’organismo, risvegliando il desiderio di essere appagato, solo raramente e libera l’uomo dai turbamenti delle passioni. Anche in tal caso gli esperimenti pratici dimostrano che questo desiderio, come tutti gli altri, è sempre normale negli individui che conducono la vita naturale di cui si è parlato. Differentemente da molte tradizioni spirituali che hanno sempre considerato la vita familiare come un serio ostacolo per l'auto-realizzazione, nel Kriya l'energia sessuale viene trasformata ai fini della pratica yoga e della Divina Unione. In particolare si fa in modo che le energie che vengono normalmente sprecate in disordinate attività sessuali siano invece conservate ed indirizzate verso i chakra superiori. Questo modo d'agire porta a considerare ed amare il proprio partner di vita quale incarnazione del Divino. |
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Disciplina | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Così come è importante nutrire il corpo con un
cibo appropriato così è importante nutrire la mente e lo spirito con
alimenti che sono loro propri. Una persona che si pone nel cammino
del Kriya dovrebbe cercare esperienze e fonti di stimolo
intellettuale che siano di supporto alla disciplina di
trasformazione dello Yoga. Sarebbe auto-distruttivo ricercare al di
fuori di sé gratificanti esperienze sensorie invece di mantenersi
nella continuità dei più alti stati di coscienza che si raggiungono
con la pratica. Le reazioni mentali che ne deriverebbero sarebbero
causa di sopraffazione dovuta a dubbi ed altre emozioni negative che
farebbero ben presto desistere il praticante dai propri sforzi.
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Yama | |
Terminate le mie personali divagazioni filosofiche cercherò di dare una descrizione dei primi due degli otto ausili dello Yoga, come li definisce Patanjali, per la liberazione, ovverossia le fondamenta dell'ottuplice sentiero da lui tracciato. Oltre a quanto riportato sopra quindi, formalmente si può dire che è bene per l'aspirante (sadhaka) osservare i principi di Yama e Niyama, ovvero le cinque proscrizioni e le cinque prescrizioni; in pratica si possono vedere come "I Dieci Comandamenti" dello Yoga, paragonabili a quelli Cristiani. Yama è un termine collettivo che designa i comandamenti morali universali. Questi comandamenti sono eterni, indipendentemente dalla classe sociale, dal tempo e dal luogo. Questi grandi voti (mahavrata) sono: Questi comandamenti sono le regole della moralità nella vita individuale e sociale; se non si ubbidisce ad esse si arriva al caos, alla violenza, alla falsità, al furto, alla dissipazione ed alla viltà. Le radici di questi demoni sono i sentimenti della bramosia, del desiderio e dell'attaccamento, che possono essere blandi, medi o eccessivi e che portano solo dolore e ignoranza. Patanjali colpisce alla radice questi demoni cambiando l'orientamento del pensiero del praticante invitandolo ad attenersi ai cinque principi dello Yama. La non violenza è astenersi dall'infliggere qualunque tipo di male, fisico o mentale, con il pensiero o con l'azione. Quando l'odio e l'animosità vengono abbandonati, rimane soltanto un amore che abbraccia ogni cosa. Lo yogi è spietatamente sincero e onesto con sé stesso, e tutto ciò che pensa e dice è vero. Domina i suoi desideri e riduce le proprie esigenze, e perciò diviene più ricco senza rubare, e le cose vengono a lui senza che le chieda. La continenza (brahmacharya) è relativa a tutte le questioni del sesso e non solo, nell'immaginazione e nella realtà. Questa disciplina conferisce la virilità e la capacità di vedere la divinità in tutte le forme, senza eccitazione sessuale. Non si devono desiderare le cose che non sono necessarie al sostentamento della vita, perché il desiderio è seguito dall'avidità, che conduce alla sofferenza se non si riesce a ottenere ciò che si vuole. Quando i desideri si moltiplicano, distruggono il retto comportamento.
Satya: verità. É la più alta regola di condotta o moralità. Come la fiamma brucia le impurità e raffina l'oro, così il fuoco della verità pulisce lo yogi e brucia completamente in lui le impurità. Se la mente avesse pensieri di verità, se la lingua dicesse parole di verità e se tutta la vita fosse basata sulla verità, allora saremmo pronti per l'unione con l'Infinito. La realtà nella sua natura originale è amore e verità ad un tempo e si esprime con questi due aspetti; la vita dello yogi si deve conformare strettamente a questi due aspetti della realtà. Ecco perché viene raccomandata ahimsā, che è basata essenzialmente sull'amore. Satya presuppone una perfetta sincerità nel pensiero, nella parola e nell'azione; la falsità, sotto qualsiasi aspetto, allontana l'aspirante dall'armonia con la legge principale della verità. La verità non è soltanto limitata al discorso. Vi sono quattro peccati nel modo di parlare: abuso e oscenità, falsità, calunnia e infine mettere in ridicolo ciò che gli altri ritengono sacro. La persona maldicente è più velenosa di un serpente; controllare il modo di parlare porta ad allontanare la malizia. Quando la mente non è maliziosa, è piena di carità verso tutti. Colui che ha imparato a controllare la propria lingua ha raggiunto in gran parte la padronanza di sé e quando parla vuole essere ascoltato con rispetto e attenzione. Le sue parole saranno ricordate come vere e giuste. Quando chi vive in spirito di verità prega con cuore puro, le cose di cui ha realmente bisogno vengono a lui quando sono veramente necessarie: non deve rincorrerle. L'uomo fermamente convinto della verità coglie il frutto delle proprie azioni senza fare apparentemente niente. Dio è la fonte di tutta la verità, fornisce tutto ciò che è necessario e si occupa del suo benessere. Asteya: Il desiderio di possedere e di usufruire di ciò che è degli altri guida a commettere cattive azioni; è da questo desiderio che scaturisce lo stimolo di rubare e di desiderare ardentemente la roba d'altri. Asteya, o non rubare, include non soltanto prendere senza permesso ciò che appartiene ad altri, ma anche usare qualcosa per uno scopo diverso da quello inteso, o al di là del tempo concesso dal suo proprietario. Perciò include l'appropriazione indebita, la mancanza di fiducia, la cattiva direzione e l'abuso. Lo yogi riduce al minimo i suoi bisogni fisici, essendo convinto che se prendesse cose di cui non ha realmente bisogno, genererebbe per sé un cattivo ritorno karmico, quindi conseguenze negative . Mentre molti altri uomini desiderano ardentemente la ricchezza, il potere, la fama o il piacere, lo yogi ha un solo desiderio: quello di adorare il Signore. La libertà dal desiderio permette di evitare le grandi tentazioni. Il desiderio infanga il ruscello della tranquillità, ende gli uomini vili, abbietti ed incapaci di dare un giusto indirizzo alla propria vita. Colui che rispetta il comandamento di non rubare diventa un confidente fiducioso di tutti i tesori. Brahmacharya: Secondo il vocabolario, brahmacharya significa vita di celibato, studio religioso e autocontrollo. Si pensa che una ragionevole ritenzione dello sperma aumenti la vitalità e doni un odore piacevole al corpo dello yogi. Fino a che esso è trattenuto, non ci sarà pericolo di morte per cui, chi volesse intraprendere un cammino spirituale, dovrebbe astenersi dai disordinati contatti carnali e dal continuo sforzo mentale per procurarseli. Il concetto di brahmacharya non è negativo, non è una forzata austerità o proibizione. Un brahmachāri (colui che osserva brahmacharya) è un uomo che è assorbito dallo studio della tradizione sacra vedica e si avvicina costantemente a Brahman intuendo che tutto è in Lui. In altre parole, colui che vede la divinità in tutto è un brahmachāri. Patanjali perciò pone in rilievo la continenza del corpo, del parlare, e della mente, ma ciò non significa che la filosofia dello Yoga sia destinata solo ai celibi. Brahmacharya è una disposizione d'animo ed ha scarsa importanza se si è scapoli, sposati o capofamiglia. Non è di primaria importanza per la propria salvezza essere celibe o senza una famiglia, semmai è una condizione a cui si può arrivare, ma naturalmente e senza nessuna forzatura esteriore. Diversi tra gli yogi e i vecchi saggi, in India, erano uomini sposati e con numerosa famiglia. Non sfuggivano alle proprie responsabilità morali e sociali. Il matrimonio e la paternità non sono necessariamente un ostacolo alla conoscenza dell'amore divino della felicità e dell'unione con lo Spirito Divino. Nei riguardi di un aspirante che sia capofamiglia la tradizione dice di fargli praticare lo Yoga, libero dalla compagnia degli uomini, in un posto solitario. Egli dovrebbe rimanere nella società, ma non concentrarvi il suo cuore e non dovrebbe rinunciare ai doveri della sua professione, casta o rango, ma compierli come strumenti del Signore, senza pensare ai risultati. Vi riuscirà seguendo saggiamente il metodo dello Yoga, non vi è dubbio alcuno. Rimanendo in famiglia ed adempiendo sempre ai doveri del capofamiglia, colui che è libero dai meriti e dai demeriti e ha trattenuto i suoi sensi, ottiene la salvezza. Quando si vive secondo brahmacharya, si sviluppa nello yogi una forte sensazione di vitalità e di energia, una mente coraggiosa e un potente intelletto tali da aiutarlo a combattere qualsiasi genere di ingiustizie. Il brahmachāri userà saggiamente le forze che in lui si manifestano: utilizzerà la forza fisica per compiere il lavoro del Signore, la forza mentale per diffondere la cultura e la forza intellettuale per lo sviluppo della vita spirituale. Brahmacharya è la batteria che alimenta la luce della saggezza. Aparigraha: "Parigraha" significa accumulare o radunare mentre "a" è una particella di negazione, quindi essere liberi dall'accumulare è aparigraha e lo si può anche considerare come una estensione di asteya. Proprio come non si dovrebbero prendere le cose che non sono realmente necessarie, così non si dovrebbero accumulare o radunare cose di cui non si abbia immediatamente bisogno, né si dovrebbe prendere alcunché senza lavorare per esso o come aiuto da altri, poiché questo indica povertà di spirito. Lo yogi sente che radunare o accumulare cose implica una mancanza di fede in Dio ed in sé stesso nel provvedere per il proprio futuro. Egli conserva la fede tenendosi innanzi l'immagine della luna: durante la metà buia del mese essa sorge tardi mentre la maggior parte degli uomini dorme senza poter apprezzare la sua bellezza. Il suo splendore declina ma non devia dalla sua strada ed è indifferente alla mancanza di apprezzamento dell'uomo. Ma la sua fede le dice che sarà di nuovo piena quando fronteggerà il sole: allora gli uomini aspetteranno ansiosamente il suo glorioso levarsi. Osservando aparigraha, lo yogi rende la propria vita il più semplice possibile ed allena la propria mente a non sentire la perdita o la mancanza dei beni terreni; tutto ciò di cui ha realmente bisogno gli giungerà da sé al tempo giusto. La vita di un uomo comune è piena di infinite agitazioni, frustrazioni e di tutte le reazioni ad esse; diventa quindi praticamente impossibile mantenere la mente in uno stato di equilibrio. Il sadhaka ha sviluppato la capacità di rimanere soddisfatto di qualsiasi cosa gli capiti, raggiungendo cosi la pace che lo tiene al di là dei regni dell'illusione e dell'infelicità di cui il nostro mondo è saturo. Rievoca la promessa fatta da Sri Krishna ad Arjuna nel nono capitolo della Bhagavad Gitā:
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Niyama |
Niyama sono le cinque prescrizioni, cioà azioni che lo yogi deve compiere. Sono le regole di condotta che si riferiscono alla disciplina individuale mentre le regole Yama sono di applicazione universale. Le cinque niyama elencate da Patanjali sono: Lo yogi sa che il suo corpo e i suoi sensi sono soggetti ai desideri, i quali pregiudicano la mente, e quindi osserva i principi del Niyama. La purezza è di due specie, interiore ed esteriore, e si devono coltivare entrambe. Mentre la seconda significa purezza di comportamento e di abitudini, pulizia della persona e dell'ambiente, la prima è lo sradicamento dei sei mali, cioè la passione, la collera, l'avidità, l'infatuazione, l'orgoglio, la malignità e l'invidia. Tale sradicamento si consegue occupando la mente con pensieri buoni e costruttivi, che portano alla divinità. L'accontentarsi riduce i desideri, rende gai e conferisce equilibrio alla mente. L'austerità permette di disciplinare il corpo e di sopportare i disagi e le avversità, orientando cosi la mente verso l'Io interiore. Lo studio, qui, significa istruirsi cercando la verità e l'autorealizzazione. Infine, vi è la resa di tutte le nostre azioni al Signore, l'accettazione completa della Sua volontà. Quindi i niyama sono le virtù che acquietano la mente perturbata, e conducono alla pace, nello yogi e intorno a lui. Saucha: La purezza del corpo è essenziale per il benessere; mentre buone abitudini come il bagnarsi purificano il corpo esteriormente, asana e pranayama lo puliscono interiormente. La pratica delle asana tonifica il corpo e toglie le tossine e le impurità causate dall'eccessivo rilassamento. Il Pranayama pulisce i polmoni, ossigena il sangue e purifica i nervi. Più importante della purificazione fisica del corpo è la purificazione della mente dai suoi turbamenti, come l'odio, la passione, l'ira, la bramosia, la cupidigia, l'illusione e l'orgoglio. Di suprema importanza è purificare l'intelletto(buddhi) dai pensieri impuri. Le impurità della mente vengono lavate dalle acque del bhakti ( adorazione ), quelle dell'intelletto o della ragione sono bruciate dallo studio dell'Io. Questa pulizia interiore dona splendore e gioia. Porta benevolenza e bandisce il dolore mentale, lo scoraggiamento, la tristezza e la disperazione. Quando si è caritatevoli, si vedono negli altri le virtù oltre gli errori. Il rispetto che si mostra per le virtù di un altro, rende questi rispettoso di sé stesso e lo aiuta a combattere i propri dolori e le proprie difficoltà. Quando la mente è lucida, è facile renderlo evidente. Con la concentrazione, si ottiene padronanza dei sensi (indriya-jaya). Si è allora pronti ad entrare nel tempio del proprio corpo per vedere il proprio vero io nello specchio della propria anima. Oltre alla purezza del corpo, del pensiero e della parola, è anche necessario un nutrimento semplice. A prescindere dalla pulizia nel preparare il cibo, è anche necessario osservare la purezza dei mezzi con i quali esso viene procurato. Il cibo, sostegno di tutta la vira, è considerato come una fase di Brahman. Dovrebbe essere mangiato con la sensazione che con ogni boccone si possa guadagnare energia per servire il Signore; così il cibo si purifica. Essere o meno un vegetariano è una questione puramente personale poiché ogni individuo è influenzato dalla tradizione e dai costumi del paese in cui è nato e cresciuto. Ma, nel corso del tempo, colui che pratica lo Yoga deve adottare una dieta vegetariana, per ottenere acutezza mentale ed evoluzione spirituale. Il cibo dovrebbe esser consumato per mantenere la salute, la forza, l'energia e la vita. Dovrebbe essere semplice, nutriente, appetibile e sufficiente. Evitare cibi troppo acidi, amari, salati, acri, bruciati, raffermi, insipidi, pesanti e sporchi. Il nostro carattere viene formato anche dal genere di cibo e da come lo mangiamo. Gli uomini sono le sole creature che mangiano quando non hanno fame e che generalmente vivono per mangiare anziché mangiare per vivere. Se mangiamo per dare gusto alla lingua, facciamo indigestione e soffriamo di disturbi digestivi che mettono in cattive condizioni il nostro organismo. Lo yogi crede nell'armonia, perciò mangia soltanto per il suo sostentamento; non mangia troppo né troppo poco, considera il corpo come il rifugio della sua anima e lo protegge contro gli eccessi. Oltre al cibo, anche il luogo è importante per le pratiche spirituali. È difficile praticare lo Yoga lontano da casa, in una foresta, in una città affollata, o dove c'è rumore. Si dovrebbe scegliere un posto dove sia facile procurarsi il cibo, un luogo libero da insetti, protetto dagli elementi e con piacevoli dintorni. Le rive di un lago, o di un fiume o di una spiaggia sono l'ideale. Questi luoghi calmi sono difficili da trovare ai giorni nostri ma ci si può almeno costruire un angolo in una stanza adatto per gli esercizi e tenerla pulita, ariosa e asciutta. Santosa: Si deve cercare inoltre di sviluppare la virtù dell'esser pago o santosa. Una mente che non è ragionevolmente felice non può concentrarsi. Lo yogi che arriva a non sentire la mancanza delle cose diviene quindi naturalmente felice e questa felicità gli dona una grande beatitudine ed un senso di appagamento. Un uomo felice è completo poiché ha conosciuto l'amore del Signore e ha fatto il suo dovere, ha conosciuto la verità e la gioia. La felicità e la tranquillità sono uno stato d'animo. Esistono differenze tra gli uomini dovute alle razze, al credo, alla ricchezza e al sapere; tali differenze, creano disaccordi da cui sorgono conflitti, consapevoli o inconsapevoli, che turbano e imbarazzano. Di conseguenza la mente non può essere lucida ed è privata dalla sua pace. Vi sono felicità e tranquillità quando la fiamma dello spirito non vacilla nel vento del desiderio. Lo yogi non cerca la pace vuota del morto, ma la pace di qualcuno la cui ragione è fermamente convinta di Dio Tapas: Tapas deriva dalla radice "tap" che significa divampare, bruciare, splendere, soffrire per un dolore o consumare col fuoco. Perciò indica in tutti i casi lo sforzo ardente per raggiungere nella vita uno scopo definito. Implica la purificazione, l'autodisciplina e l'austerità quindi tutta la scienza della formazione del carattere può essere considerata come una pratica di tapas. Tapas è lo sforzo consapevole che si compie per ottenere l'unione finale col Divino e per bruciare tutti i desideri profani che si incontrano lungo il cammino verso questa meta. Uno scopo degno rende la vita illuminata, pura e divina; senza tale proposito, l'azione e la preghiera non hanno valore. La vita senza tapas è come un cuore senza amore; senza tapas, l'anima non può raggiungere il Signore. Tapas può essere di tre tipi e può riferirsi al corpo, al discorso o alla mente. La moderazione e la non-violenza sono tapas del corpo. Usare parole non offensive, recitare la gloria di Dio, far conoscere la verità senza pensare alle conseguenze e non parlare male degli altri sono tapas del parlare. Sviluppare un modo di pensare che lascia l'individuo tranquillo ed equilibrato nella gioia e nel dolore e che gli mantenga controllo di sé stesso sono tapas del pensiero. É tapas il lavorare senza motivi egoistici o attesa di ricompensa, con l'inamovibile credo che nemmeno uno stelo d'erba si possa muovere senza il volere di Dio. Con tapas lo yogi sviluppa la forza del corpo, della mente e del carattere ed acquista coraggio e saggezza, integrità, onestà e semplicità.
Svādhyāya: "Sva" significa il proprio
essere e "adhyāya" studio o educazione, quindi svādhyāya è
l'educazione dell'io. Svādhyāya non è come l'istruzione che si
acquista seguendo una lezione in cui l'insegnante fa mostra del
proprio sapere all'ignoranza del pubblico, al contrario quando ci si
riunisce per meditare su svādhyāya, chi parla e chi ascolta sono
della stessa opinione e provano amore e rispetto reciproco, non
fanno sermoni, ma piuttosto un cuore parla all'altro. I pensieri
nobili che nascono da svādhyāya entrano per così dire nel sangue e
diventano in tal modo parte dell'anima e dell'essere. Colui che
pratica svādhyāya legge il proprio libro della vita nello stesso
tempo in cui lo scrive e lo corregge; c'è un continuo, progressivo
cambiamento nel suo modo di vedere la vita e comincia a capire che
tutta la creazione è destinata a bhakti (adorazione) piuttosto che a
bhoga (godimento), che tutta la creazione è divina, che la divinità
è in lui e che l'energia che lo muove è la stessa che muove
l'universo. Svādhyāya è stata anche definita come lo studio di un
soggetto che è alla base di tutti gli altri e sul quale essi si
basano, ma che a sua volta non si basa su niente. Per rendere la
vita sana, felice e tranquilla, di grande aiuto è meditare sulla
letteratura sacra in un posto puro. Tale studio dei libri sacri
permetterà all'aspirante di concentrarsi e di risolvere i difficili
problemi della vita quando sorgono, porrà fine all'ignoranza e
donerà sapere. L'ignoranza non ha un principio, ma ha una fine; il
sapere ha un inizio ma non ha una fine. Con svādhyāya l'aspirante
capisce la natura della propria anima e ottiene la comunione col
divino. I libri sacri devono essere letti da tutti, poiché non sono
destinati soltanto ai credenti di una particolare fede. Come le api
assaporano il nettare di fiori diversi, così lo yogi coglie in altre
fedi insegnamenti che gli permettono di apprezzare meglio la
propria. La filologia non è una lingua ma la scienza delle lingue,
il cui studio permette allo studioso di conoscere meglio la propria.
Similmente, lo Yoga non è in sé una religione, ma è la scienza delle
religioni, il cui studio permette al praticante di apprezzare meglio
la propria fede. |
Tutti i precetti appena esposti e descritti, di Yama e Niyama, sono tanto belli da un punto di vista espositivo quanto ardui da raggiungere. Credo che sia un errore il pensare di poter procedere con lo yoga solo qualora li si avessero perfezionati tutti poiché, in tal caso, si sarebbe già arrivati alla meta. Un uomo che rifletta perfettamente in sé tutti i precetti di Yama e Niyama è praticamente simile al Cristo e non credo sia il caso di molti. Patanjali li definisce ausili e come tali vanno interpretati. Talune culture religiose, soprattutto occidentali, propongono ai loro adepti modelli di perfezione a cui essi devono aderire immediatamente, facendoli cioè sentire già perfetti e senza proporre loro un reale percorso di sviluppo spirituale. Questi tipi di atteggiamento non sono altro che carezze all'ego belle e buone volte solo a creare proselitismo e relativo potere sulle anime da parte dei vari ministri che, a piramide, vengono ad avere influenza su di loro. Non si può trovare nessuna vera libertà in questo. Non sono sbagliate le fedi ed i perseguimenti che vengono professati ma i mezzi con i quali vengono propugnati. Lo yogi è ben consapevole di essere mancante riguardo ad una "ipotetica perfezione" ed affronta umilmente il cammino che gli sta davanti consapevole delle potenzialità di miglioramento che gli sono proprie come uomo e come figlio di Dio. Non intende quindi i precetti di Yama e Niyama come qualcosa da avere già nel proprio bagaglio personale ma piuttosto come qualcosa di supremo a cui tendere, senza concedersi facili scuse relativamente ai motivi di sue eventuali mancanze e cadute. Conscio del fatto che un santo è solo un peccatore che non si è mai arreso, onestamente riprova dove ha fallito al fine di ottenere una sempre migliore padronanza di sé e dei propri mezzi. |
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