Introduzione
Il Samyama
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Dhārana
 

 

Deshabandhaschitthasya Dhaaranaa

 

 

Dhārana significa mettere a fuoco la mente su un determinato oggetto; Patanjali se la cava semplicemente così. In realtà non ci sarebbe altro da aggiungere, scrivere o analizzare, in quanto si definisce uno stato interiore per cui le parole sono inadatte a descriverlo. É inutile perfino fantasticare mentalmente su paradisiaci, incantati stadi mentali perché si potrebbe rimanere delusi; un tale atteggiamento rivelerebbe infatti ancora un modo di ragionare che si basa su paragoni sensori, mentre lo stato mentale di dhārana non è percepito dai sensi in quanto essi sono stati interiorizzati. Dhārana significa mettere a fuoco la mente su un determinato oggetto o aspetto, che nel kriya è la realtà Omkar. In questa parte degli Yoga Sutra, Maharshi Patanjali seguita nella definizione delle rimanenti parti dello Yoga di cui dhārana è il sesto gradino e consiste nel concentrare il focus mentale su un singolo oggetto sino a penetrare il velo e ad entrare nel più intimo santuario dell'oggetto stesso. Il potere del dhārana o concentrazione mentale su un singolo oggetto può essere illustrato considerando la potenza di una lente di ingrandimento. Un raggio solare che emette luce e calore portatori di vita può essere concentrato su un punto attraverso una lente d'ingrandimento : lo stesso raggio di sole brucia quindi l'oggetto sul quale è stato concentrato. In modo analogo, la nostra mente nelle sue condizioni ordinarie è dispersiva, inquieta, si sposta e corre da un oggetto all'altro come una scimmia irrequieta che salta di ramo in ramo in cerca di frutti. Ma quando la mente viene messa a fuoco su se stessa, sugli stati mentali soggettivi o sugli oggetti cosmici, essa acquista poteri sovrumani che svelano i misteri e ci rendono capaci di comprendere la chiave che apre i segreti nascosti di Madre Natura, e si dirige verso la via dell'Autorealizzazione, del raggiungimento di Dio, della salvezza. Per raggiungere questo stato di assoluta concentrazione, la mente deve essere placata. La mente è uno strumento che classifica, giudica e coordina le impressioni del mondo esterno e quelle del nostro mondo interiore. La mente è il frutto dei pensieri difficili da reprimere perché astuti e volubili. Un pensiero ben custodito da una mente controllata porta felicità. Per ottenere il migliore risultato da uno strumento, se ne deve conoscere il funzionamento; la mente è lo strumento per pensare ed è quindi necessario considerare la sua intima essenza. Essa può trovarsi in uno stato di disordine e trascuratezza bramando quindi i beni materiali oppure può essere agitata e distratta benché si abbia la capacità di godere dei frutti dei propri sforzi che diventano il movente di ogni azione. In questo stato i desideri non sono ancora ordinati e sono fuori controllo. La mente può essere anche tarda e stupida e l'individuo non sa che cosa vuole; in tale stato è evidente il predominio di tama guna ed il cuore prova uno stato di profonda e vuota insoddisfazione. Qualora invece prevalga sattva guna la mente è del tutto attenta e le facoltà mentali sono concentrate su un solo oggetto o mirate ad un unico fine. Colui che si trova in questo stato ha poteri intellettuali superiori e sa perfettamente ciò che vuole, perciò usa tutti i suoi poteri per raggiungere lo scopo prefisso. Il volere spietatamente realizzare un proprio desiderio, senza riguardo per gli altri, può però creare molta infelicità; succede infatti spesso che i propri desideri, una volta appagati, lascino dietro di sé un sapore amaro. Quando una persona è in questo stato mentale diventa estremamente egoista ed insorge un nuovo pericolo. Quando i sensi cominciano a vagare incontrollati, la mente segue l'azione e questi offuscano il giudizio di un uomo e lo mandano alla deriva come una nave sbattuta da un mare in tempesta. Una nave ha bisogno di zavorra per mantenere un assetto regolare ed al timoniere occorre una stella per governarla. Colui che è ha una mente potente ha bisogno di bhakti (adorazione del Signore) e della concentrazione sulla divinità per mantenere il suo equilibrio mentale e per poter procedere sempre nella direzione giusta; non conoscerà la felicità fino a che scomparirà in lui la sensazione dell' "Io e del "Mio". Solo quando la mente (manas), l'intelletto (buddhi) e l'io (ahamkara) sono sotto controllo e vengono offerte a Dio per il Suo uso e il Suo servizio non vi è sensazione dell' "Io e del "Mio". Come una lente diventa più luminosa quando una gran quantità di luce è gettata su di essa e sembra essere tutta luce e non distinguibile da essa, così anche il kriyaban che ha offerto al Signore la propria mente, intelletto e io, diventa un uno con Lui, poiché pensa soltanto a Lui, che è il creatore del pensiero. Senza concentrazione non si può raggiungere la padronanza di alcuna cosa. Senza concentrarsi sulla Divinità, che forma e controlla l'universo, non si può scoprire la divinità in se stessi o divenire un essere universale. Per raggiungere questo grado di concentrazione, si consiglia lo studio del singolo elemento che pervade tutto, l'Io più profondo di tutti gli esseri che si manifesta nella realtà Omkar e nel suono di OM.

 

 

Dhyāna
 

 

Tatra pratyayaikataanataa dhyaanam

 

 

Dhyāna è la ferma concentrazione (della mente) su un oggetto. Come per lo stadio precedente anche qui Patanjali è estremamente conciso ed in effetti ci sarebbe ancora meno da dire se non che fra i tre stadi finali dello Yoga non esistono definite linee di demarcazione ma l'uno deriva dall'altro così come il fiore viene dalla gemma ed il frutto dal fiore. Dhyāna, la meditazione, è uno stadio superiore al dhārana in quanto comprende non soltanto la concentrazione della mente su un punto, ma esige anche una più profonda penetrazione nel cuore stesso dell'oggetto, fino a che l'oggetto, colui che pensa e quanto viene pensato, giungano a formare una flusso ininterrotto di consapevolezza, che è poi la realtà intima che fa da sostegno al momento esterno. Un effetto, l'intera creazione con tutte le sue creature, dalle più alte galassie all'atomo più minuscolo non sono altro che idee e volere, riducibili quindi al Logos o idea di Dio e alla sacra onnipotenza di Dio, il Suo volere. La materia non è altro che condensazione di idea o consapevolezza. Dhyāna, o meditazione, può raggiungere uno stato trascendentale quando la mente dell'uomo sosti quasi ininterrottamente nelle regioni celesti anche mentre abita questo pianeta mortale, e comunichi con l'Altissimo anche quando è impegnato nelle responsabilità e nei doveri mondani. Come l'acqua assume la forma del recipiente che la contiene, la mente, quando contempla un oggetto si trasmuta nella forma di tale oggetto. La mente che medita sulla divinità che pervade tutto e che essa adora, viene profondamente trasformata da una lunga e continua devozione, nelle sembianze di tale divinità. Quando si versa l'olio da un recipiente in un altro, si può vederne il flusso fermo e costante. Quando il flusso della concentrazione è continuo, ha origine lo stato dhyāna. Come il filamento di una lampadina elettrica si accende e si illumina quando vi scorre una corrente elettrica regolare e continua, la mente dello yogi sarà illuminata da dhyāna. Il suo corpo, il respiro, i sensi, la mente, la ragione e l'io sono tutti integrati nell'oggetto della sua contemplazione, lo Spirito Universale. Egli permane in uno stato di coscienza che non ha definizione alcuna; nessun'altra sensazione è in Lui, eccettuato un senso di Suprema Beatitudine. Come in un lampo, lo yogi vede la luce che splende al di là della terra e dei cieli e vede la luce che brilla nel suo cuore. Diventa fonte di luce per sé stesso e per gli altri.

I segni del progresso sulla via dello Yoga sono salute, un senso di leggerezza fisica, costanza, chiarezza di espressione, voce piacevole e libertà dalla brama. Lo yogi acquista una mente equilibrata, serena e tranquilla; è il vero simbolo dell'umiltà. Dedica tutte le proprie azioni al Signore e, rifugiandosi in Lui, si libera dalla schiavitù del karma e diventa un'anima liberata.

 

 

Nota: È davvero interessante notare come Patanjali, ai suoi tempi (circa due secoli a.C.) abbia potuto anticipare una psicologia e una tecnica mentale in enorme anticipo persino sulla nostra era atomica. Tutte le nostre attuali ricerche e scoperte psicologiche sembrano essere null'altro che un'onda del possente oceano della psicologia mistica e dell'esoterismo metafisico dai quali scaturirono gli aforismi Yoga.


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Il Quarto Kriya
 

Uno dei paragoni più realistici a cui si può assimilare il cammino spirituale è quello di una scalata e questo è già stato fatto più volte nelle pagine precedenti. Per l'aspirante che, completato con successo il primo livello del kriya, si apprestava al gradino successivo si è detto che dopo una serie di avvicinamenti, alcune brevi scalate, prime vette ed altopiani raggiunti, al campo base in altura si trovava ormai sotto la vetta principale senza però avere ancora la possibilità di vederne la vetta, essendo quest'ultima celata dalle nubi di maya. Continuando con questa metafora si potrebbe proseguire dicendo che chi avesse intrapreso la scalata rappresentata dal secondo e dal terzo kriya e ne avesse percorso tutte le tappe con un certo successo saprebbe con certezza di avere attraversato quello strato di nubi e si troverebbe ora, non più sotto la vetta principale, ma nella sua prossimità. Chi ha viaggiato in aereo e magari è partito in un giorno di pioggia o anche solo nuvoloso, una volta in quota ha realizzato che in realtà lassù c'è sempre il sole e che è solo lo strato di nubi a determinare l'idea dei diversi eventi atmosferici che si percepiscono a terra. Similmente chi si viene a trovare alle "altezze spirituali" proprie di chi ha ben padroneggiato i primi tre kriya è in grado di avere la medesima percezione del nostro viaggiatore aereo, con la differenza però che egli non è ancora in quota, avendo cioè le nubi sotto di sé, ma è ancora in una fase di ascensione sebbene possa ormai scorgere la luce che proviene da sopra la coltre nuvolosa. L'amico che lo aveva accompagnato all'aeroporto invece, tornando a casa con l'auto, vede il cielo grigio mentre cade una certa pioggerella e ne deduce che fa cattivo tempo. Benché esistano più scuole di kriya yoga e che queste abbiano linee di insegnamento che differiscono tra loro anche in maniera piuttosto netta a volte, tutte concordano sul fatto che il quarto kriya è considerato praticabile solo se il terzo è stato padroneggiato almeno fino ad un certo livello poiché in caso di completa padronanza significherebbe avere ottenuto la realizzazione del Sé e quindi l'insegnamento di un eventuale kriya successivo si renderebbe del tutto inutile in quanto si sarebbe ormai in grado di proseguire da soli. Ovviamente quando si dice padroneggiato non si intende la perfetta esecuzione tecnica di esso ma in principal modo la realizzazione interiore che ne deriva e questa è direttamente collegata con la maturazione del corpo pranico...come dire "ogni cosa a suo tempo".

Così come la capacità di eseguire il kechari mudra testimonia, a livello sottile, l'apertura del nodo della gola rendendo il kriyaban pronto per il secondo kriya, la percezione della realtà Omkar e la manifestazione dell' Anahata Nada, il suono tipico del chakra del cuore, testimoniano la "maturità" di quest'ultimo per cui il kriyaban diviene pronto all'esperienza di tutti gli altri chakra ed in particolare all'apertura dell'ultimo nodo, quello del muladhara. Diverse sono le tecniche che aiutano ad aprire il nodo del muladhara così che la propria consapevolezza possa entrare nella spina dorsale e toccare il perfetto stato di tranquillità in cima alla testa permettendo quindi l'esperienza del settimo chakra, il sahasrara. A tal proposito il prana viene portato nel Kutastha e, dopo averlo fissato in quel punto, viene data una opportuna istruzione per sentire i "diversi ritmi dei Chakra", coi quali comunque si dovrebbe essere già in qualche modo entrati in contatto mediante la pratica di alcune tecniche complementari ai kriya precedenti. Mentre nel terzo kriya il kriyaban si stabilisce nel chakra del cuore, in questo quarto kriya uno stabilirsi simile è realizzato in tutti gli altri chakra singolarmente. Sperimentando queste sei zone di ritmo e vibrazione nel punto tra le sopracciglia, che è poi la reale sede dei chakra, si riesce così ad andare oltre i reami della stabilità finora raggiunti e l'ultimo guscio di illusione è rotto.

 
Il Gayatri Mantra e i sette Loka
 

Nella pratica del quarto kriya non viene più usato il mantra a dodici sillabe ma si usa l'invocazione completa che precede il Gayatri Mantra al fine di onorare i sette piani di esistenza, o Loka, in cui secondo la cultura induista si suddivide tutta la Creazione, dai piani più sottili a quelli più grossolani. Il Gayatri é una preghiera rivolta all' "Intelligenza Universale" ed il suo scopo é quello di accendere il potere del discernimento per permettere all'uomo di analizzarsi e di rendersi conto della sua natura divina. É sinonimo del Divino, é lo stesso suono di Dio e permea tutto il Cosmo manifesto. É la "Base", la "Realtà" che trascende l'Universo soggetto a conoscenza e a sperimentazione. Il termine "Gayatri" proviene da GAYAntam TRIyate iti, che significa: "Ciò che preserva, protegge o salva dalla corruttibilità, colui che lo recita". GAYA vuol dire Essere e insegna la Verità, il principio della vita. Occorre accostarsi a questo mantra con dovuta umiltà, reverenza, fede ed amore. L'Universo, a cominciare dalla Sostanza Eterna, Dio, fino alla materia fisica della creazione, si suddivide in sette differenti sfere, Svarga o Loka che saranno ora elencati assieme ad una loro breve descrizione e distinzione:

  • I Sfera, Bhuloka - La sfera più bassa è Bhuloka, la sfera della materia fisica della creazione sempre visibile a chiunque tramite la comune percezione sensoria.

  • II Sfera, Bhuvarloka - La successiva è Bhuvarloka, la sfera degli attributi elettrici. Questa sfera, nella quale è del tutto assente la materia fisica della creazione, è caratterizzata dalla presenza della materia sottile; perciò essa viene chiamata "il Vuoto Ordinario".

  • III Sfera, Svarloka - La sfera dell'aura magnetica delle forze elettriche, Svarloka, si trova attorno a quella dell'atomo che la segue nell'ordine. Questa sfera, essendo caratterizzata dall'assenza di tutto ciò che esiste nella creazione, perfino degli organi e dei loro oggetti o le materie sottili, è chiamata "il Grande Vuoto".

  • IV Sfera, Maharloka - Segue Maharloka, la sfera dell'atomo, dove ha inizio la creazione delle tenebre, Maya, su cui si riflette lo Spirito. Essa è la sola via di congiunzione fra la creazione spirituale e la creazione materiale, e viene perciò chiamata "la Porta".

  • V Sfera, Janaloka - La successiva è Janaloka, la sfera in cui si riflette lo Spirito, quella dei Figli di Dio, dove ha origine l'idea di una esistenza separata del Sé. Poiché questa sfera è al di là della comprensione di chiunque si trovi nella creazione delle tenebre, Maya, è denominata "l'Incomprensibile".

  • VI Sfera, Tapoloka - La segue nell'ordine Tapoloka, la sfera dello Spirito Santo, della Pazienza Eterna, che non potrà mai essere turbata da nessuna idea limitata. Poiché non può essere avvicinata neppure dai Figli di Dio, è chiamata "l'Inaccessibile".

  • VII Sfera, Satyaloka- É la sfera di Dio, Satyaloka, l'unica Sostanza Reale, Sat, nell'universo. Poiché nessuna parola può descriverla, e nessuna cosa nella creazione delle tenebre o in quella della Luce può raffigurarla, è chiamata "l'Indefinibile".

Lungo il cammino che conduce alla Divinità si attraversano sette sfere o stadi della creazione, che i saggi dell'oriente chiamano Svarga o Loka. Essi sono, come abbiamo appena visto, Bhuloka, la sfera della materia fisica; Bhuvarloka, la sfera degli elementi sottili o attributi elettrici; Svarloka, la sfera dei poli magnetici e delle auree o forze elettriche; Maharloka, la sfera dei magneti, gli atomi; Janaloka, la sfera dei Riflessi Spirituali, i Figli di Dio; Tapoloka, la sfera dello Spirito Santo, lo Spirito universale; Satyaloka, la sfera di Dio, la Sostanza Eterna, Sat. Di questi sette piani, i primi tre, Bhuloka, Bhuvarloka, e Svarloka, comprendono la creazione materiale, il regno delle Tenebre, Maya e gli ultimi tre, Janaloka, Tapoloka e Satyaloka, comprendono la creazione spirituale, il regno della Luce. Maharloka, ossia la sfera dell'atomo, trovandosi nel mezzo, viene indicata come la "porta" di comunicazione tra i due mondi, cioè la creazione materiale e quella spirituale, ed è perciò chiamata la decima porta, oppure Brahmarandhra, la strada che conduce alla Divinità.

I mondi, o Loka, della creazione sono quindi sette: Bhu, Bhuvar, Svar, Mahar, Jana, Tapo e Satya. Entrando nel Bhuvarloka l'uomo diventa un 'nato due voltÉ. Egli è in grado di comprendere la seconda parte della creazione materiale, quella delle forze sottili. L'uomo, essendo stato così battezzato, comincia a ravvedersi e a intraprendere il cammino di ritorno verso il Padre Eterno; ritraendo il suo sé dal mondo della della materia fisica, Bhuloka, entra in quello della materia sottile Bhuvarloka, e diventa così un 'nato due voltÉ. In questo stato l'essere umano comprende le sue forze elettriche interiori, la seconda parte della creazione formata dalla materia sottile. Si rende conto allora che l'esistenza del mondo esterno è soltanto una mera combinazione o unione, determinata dall'azione della mente e della coscienza (consapevolezza), dei suoi oggetti interiori o sottili dei sensi (gli attributi negativi delle forze elettriche) con i suoi cinque organi dei sensi (gli attributi positivi), tramite i suoi cinque organi dell'azione (i relativi attributi neutralizzanti). Se l'uomo continua a rimanere immerso nella corrente sacra, a esserne battezzato, perviene gradualmente a un piacevole stato in cui il suo cuore abbandona del tutto le idee del mondo esteriore e si dedica interamente a quello interiore. In questo stato di consacrazione l'uomo, ritirando il suo sé da Bhuvarloka, il mondo degli attributi elettrici, raggiunge Svarloka, il mondo degli attributi magnetici, le forze elettriche e i poli; egli allora diventa capace di comprendere Chitta, il Cuore, la terza parte o parte magnetica della creazione. Chitta è l'Atomo spiritualizzato, l'Ignoranza, un frammento delle tenebre, Maya. L'uomo, comprendendo Chitta, riesce a capire nella loro totalità sia le tenebre, cioè Maya stessa di cui Chitta è parte, sia la creazione intera. Allora egli diventa un 'essere quasi perfetto'. Continuando il cammino verso Dio l'uomo innalza il suo sé fino al Maharloka, la regione del magnete, l'Atomo; allora, essendosi ritirate tutte le varie forme dell'Ignoranza, il suo cuore giunge a uno stato di purezza privo di tutte le idee esteriori. L'uomo può quindi comprendere la Luce Spirituale, Brahma, la Sostanza Reale nell'universo che è l'ultima ed eterna parte della creazione. Quando il cuore è in tal modo purificato, non solo riflette, ma rende manifesta la Luce Spirituale, il Figlio di Dio; e così consacrato, ovvero unto dallo Spirito, diventa Cristo, il Salvatore. Questo è il solo modo grazie al quale l'uomo battezzato ancora una volta o assorbito nello Spirito, può elevarsi al di sopra della creazione delle tenebre ed entrare nel Janaloka, il Regno di Dio, cioè la creazione della Luce. In questo stato l'uomo sa di essere soltanto un'idea effimera che riposa su un frammento dell'universale Spirito Santo di Dio, Il Padre Eterno, e comprendendo il vero significato dell'adorazione sacrifica il suo sé allo Spirito Santo, l'altare di Dio. Abbandonando cioè la vana idea di una propria esistenza separata, "muore" o si dissolve nell'universale Spirito Santo raggiungendo così il Tapoloka, la regione in cui Esso dimora. Diventando in tal modo una cosa sola con lo Spirito Santo universale di Dio, l'uomo si unisce al Padre Eterno stesso accedendo così al Satyaloka. Comprende finalmente che la creazione intera è in sostanza soltanto un mero gioco di idee avente la sua stessa natura e che nell'universo non esiste niente altro al di fuori del proprio Sé. Questa unione è chiamata Kaivalya, l'unico Sè.

Come Dio ha creato l'uomo a sua immagine, così il corpo umano è fatto a immagine di questo universo. Anche nel corpo fisico dell'uomo sono racchiusi sette centri vitali chiamati chakra. L'uomo che si rivolge verso il proprio Sé e procede nel modo giusto, percepisce la Luce Spirituale in questi centri che, nella Bibbia, sono rappresentati come altrettante chiese; e le luci simili a stelle che vi percepisce, sono rappresentate come altrettanti angeli.

 

"E come mi voltai, vidi sette candelabri d'oro, e in mezzo ai sette candelabri c'era uno simile a figlio d'uomo...".

''Nella destra teneva sette stelle...".

"Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese;
e i sette candelabri che tu hai visto sono le sette chiese"

Apocalisse, 1, 12-13, 16, 20

Alla luce di quanto abbiamo visto fino ad ora si deduce che il Gayatri Mantra è considerato dalla cultura induista essere il veicolo supremo per ottenere l’illuminazione spirituale in quanto tramite esso è possibile mettere in relazione le sette sfere della creazione "esteriore" con i sette centri di energia "interiori" dell'essere umano. La forma pura del Gayatri Mantra è:

 

Tat Savitur Varenyam Bhargho Devasya Dhimahi Dhiyo Yonaha Prachodayat


Oh grande Luce Spirituale che hai creato l'Universo noi meditiamo sulla Tua gloria. Sei l'incarnazione della Conoscenza. Sei Colei che elimina l'Ignoranza. Possa Tu illuminare il nostro Intelletto e risvegliare la nostra Coscienza Intuitiva

 

Questo Mantra è introdotto da una invocazione che può avere una forma breve o una completa. L’invocazione breve è:

 

Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha

 

e si riferisce solo ai primi tre piani di esistenza mentre l'invocazione completa è:

 

Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha,
Om Mahah, Om Janah, Om Tapah, Om Satyam

 

Quest’invocazione è considerata assoluta in quanto riconosce tutte le sfere di esistenza che abbiamo visto più sopra: i sette Loka. Questi sono anche i sette suoni che attivano i chakra e li mettono in contatto con i sette regni spirituali dell’esistenza. Nella tecnica del Quarto Kriya si usa solamente l’invocazione completa e non tutte le componenti del Gayatri Mantra. La tradizione Kriya associa al terzo chakra, manipura, il suono di "Om Mahah" e al quato chakra, anahata, "Om Swaha". Il motivo di ciò è da ricercarsi nel fatto che il mondo del pensiero, evocato da Om Mahah è considerato addirsi maggiormente alla natura del terzo chakra, mentre il mondo causale delle idee pure, evocato da Om Swaha è più in relazione con anahata chakra. Per concludere si associa un mantra a ciascun chakra secondo lo schema che segue:

Muladhara OM Bhur
Swadhistana OM Bhuvah
Manipura OM Mahah
Anahata OM Swaha
Vishuddha OM Janah
Medulla OM Tapah
Bindu OM Satyam

Con la pratica del quarto kriya l'aspirante spirituale può raggiungere la Mèta del suo cammino, il supremo stato interiore del samādhi.

 

 

Samādhi
 

 

Tadevaarthamaatranirbhaasarn svaruupashunyamiva samaadhy

 

 

Samādhi, o estasi, significa contemplazione dell'idea, del significato, lasciando da parte le parole o il nome o la forma(all'interno dei quali è racchiusa l'idea). É il soffermarsi nella pura consapevolezza al di là dai nomi e dalle forme. Il più alto stadio che possa essere raggiunto attraverso la pratica dello Yoga è dunque il samādhi, o il permanere rapito della mente nel mondo della Pura Consapevolezza, che esiste, e di là dal mondo dei nomi e delle forme. Ancora più in là sta la Pura Consapevolezza Immacolata, oltre la quale la mente umana non può andare. L'Essenza di Dio sta di là da Dio, il quale è "l'al di là degli al di là". Ciò che i mistici cristiani e gli yogi descrivono come trance o visione beatifica è il più elevato stadio della disciplina spirituale e si manifesta quando l'anima, purificata da tutti i legami peccaminosi, dalle passioni e dalle emozioni biologiche ed animali, diviene meritevole di ricevere l'altissima Luce di Dio, e, per vari stadi, viene assorbita in quella Luce, in quell'Amore e in quella vita di Dio che sono il reale Regno di Dio, le isole benedette, il raggiungimento di ciò che è lo scopo della vita. Samādhi è il compimento della ricerca dell' aspirante spirituale che, al culmine della sua meditazione, passa nello stato di estasi; il suo corpo e i suoi sensi sono ora in stato di riposo come se egli fosse addormentato, le facoltà mentali e la ragione sono vigili come se egli fosse sveglio. La persona in stato di samādhi è completamente conscia e vigile e Brahman, Dio, è tutta la creazione. Il kriyaban è tranquillo e lo adora come la sua origine, come la fonte del suo respiro, come quello in cui si dissolverà. L'anima nel cuore è più piccola del più piccolo seme, tuttavia più grande del cielo, che contiene tutte le attività e i desideri umani; il kriyaban raggiunge questa verità. Non rimane alcun senso dell' "Io" e del "Mio" poiché l'attività della mente, del corpo e dell'intelletto si è fermata come in un grande sonno. Il kriyaban ha raggiunto il vero Yoga; rimane soltanto l'intuizione della coscienza, della verità e della gioia indescrivibile. É in questo una pace che supera ogni conoscenza. La mente non può trovare le parole per descrivere questo stato e la lingua non riesce a pronunziarle. Questo stato può essere descritto soltanto da un profondo silenzio. Lo yogi si è distaccato dal mondo materiale ed è assorbito nell'Eterno; non vi è più dualità tra il conoscitore ed il conosciuto poiché essi sono uniti come la canfora e la fiamma.

Non è corretto pensare che il samādhi, benché sia uno stato "assoluto" si presenti alla coscienza in un solo modo ma, essendo uno stato soggettivo, prende varie forme. Anche se è lo stadio finale dell'evoluzione dello yogi si può dire che, nelle sue prime manifestazioni, sia solo lo stato iniziale della sua "nuova" vita spirituale e tutte le varie forme che assume, di cui la coscienza dello yogi fa l'esperienza, sono in relazione con il suo livello di evoluzione e quindi delle capacità di percezione che egli ha sviluppato. Ed è in relazione a questo fatto che esistono altri kriya oltre al quarto che, come detto precedentemente, non sono insegnati da qualcuno ma sono sviluppati dallo yogi stesso al fine di permanere sempre più  a lungo in questi elevati stati di coscienza. Esistono quindi stati di "unificazione" con il suono cosmico di OM, poi con la vibrazione che proviene da esso ed anche con la luce che da esso emana. In quest'ultimo caso lo yogi riesce, oltre a percepire chiaramente l'occhio spirituale, a penetrarlo e ad entrare nei "reami sottili". Esistono poi stati di unificazione ancora più  elevati come il divenire uno con la gioia cosmica che tutto penetra, poi con la divina intelligenza che è saggezza assoluta e con la devozione e l'amore divino in tutte le creature, in ogni cosa ed in Dio. Infine si giunge all'unificazione con tutta la bellezza e la gloria dello Spirito. Oltre a queste varietà di forme esperienziali lo stato di samādhi si può distinguere in due modalità peculiari: savikalpa samādhi e nirvikalpa samādhi. Nella prima modalità lo yogi è in grado di fare l'esperienza delle varie forme di manifestazione di Dio come suono, luce, devozione, beatitudine, bellezza dello Spirito, ecc... ma con l'esclusione della coscienza del corpo e del mondo il che significa che lo yogi si trova necessariamente in uno stato di assoluta immobilità fisica. Con ulteriori meditazioni e perfezionamenti egli può infine giungere allo stato di nirvikalpa samādhi che significa che l'anima è in grado di vivere continuamente immersa nello Spirito, percependone le sue manifestazioni nel corpo, nella mente ed in sé medesima, senza sottostare alla condizione di immobilità fisica. Questo è lo stato, rarissimo e molto arduo da raggiungere, in cui si trovano i grandi Avatar come Cristo, Buddha, Krsna e Babaji.

Se si ha avuto il privilegio e la capacità di penetrare così profondamente dentro la propria intima essenza, se la propria coscienza ha fatto più volte l'esperienza di questi stati mentali di pace e beatitudine, la mente e soprattutto l'anima hanno subito un procedimento analogo a quello di un pezzo di ferro che è stato trasformato in un magnete permanente. Se prima che gli venisse fornita una intensa corrente elettrica ad una alta temperatura le sue molecole erano diversamente e disordinatamente orientate ora non più; similmente le cellule della mente dello yogi sono tutte orientate verso la Luce della Divinità che ha scoperto in sé stesso e non torneranno più allo stato di caos precedente. Allo stesso modo tutte le sue strutture corporee, da quella più grossolana a quella più sottile, subiscono un mutamento permanente e quando, in una eventuale nuova vita, lo yogi assumesse un nuovo corpo fisico, questi sarà conforme alle caratteristiche della sua anima elevata. É comprensibilmente molto arduo per la maggioranza degli uomini giungere a queste vette di perfezione interiore; molti si fermeranno prima. Ma nel cammino dello yoga si dice che non vi sia spreco né distruzione volendo significare che ogni forma di realizzazione raggiunta dall'anima non andrà più perduta, nemmeno nelle vite future. E questa potrebbe essere una spiegazione a quanto Arjuna chiese, a tal proposito, al Signore Krsna, che gli rispose illuminandolo su quale sarebbe stato il destino di chi, giunto alle soglie della perfezione spirituale, non fosse riuscito a completare l'intento.

 

" Cosa accade a colui che lotta e non riesce a raggiungere
il fine dello Yoga, che ha fede, ma la cui mente
svia dallo Yoga? "

 

" Nessuna disgrazia può accadere a un giusto. Dimora
per lunghi anni nel paradiso di coloro che operarono il
bene, e poi rinasce nella casa del puro e del grande. Può
rinascere anche in una famiglia di yogi illuminati, ma nascere
in tale famiglia è molto difficile a questo mondo.
Riguadagnerà la saggezza raggiunta nella sua prima vita e
si sforzerà di raggiungere la perfezione. A causa del suo
precedente studio, pratica e lotta che lo guidano sempre
avanti, lo yogi combatte sempre con un'anima libera dal
peccato, ottiene la perfezione attraverso molte vite e raggiunge
lo scopo supremo. Lo yogi supera coloro che
seguono soltanto il cammino dell'austerità, del sapere
e del servire. Perciò, Arjuna, sii uno yogi. Il più grande
di tutti gli yogi è cui cuore ha fede in me "

 

 

Bhagavad Gità, IV 38-47

 
 

 
Il Samyama
 

 

Trayamekatra samyamah

 

 

La pratica unificata della concentrazione, della meditazione e della contemplazione estatica è Samyama. Ciò che è stato descritto come differente nei precedenti tre aforismi su dhārana, dhyāna e samādhi, può essere unificato dallo yogi praticante, quando tutti i fiori e i frutti della concentrazione, della meditazione e della contemplazione siano riuniti in Samyama su un determinato oggetto. Samyama è ridurre a consapevolezza di Dio un oggetto fino a che spariscano nome e forme e ne rimangano soltanto la luce ed il potere divino. Questi elevatissimi gradi di beatitudine meditativa e di gioia contemplativa non dicono nulla alla gente comune, cosi come i piaceri dei sensi e gli allettamenti mondani non significano nulla per gli yogi. La vita mondana non è altro che la vita animale limitata dai sensi con una sottile patina di tecnologia civilizzata per una gratificazione intensa in eventi solitamente rari dei desideri e delle voglie sensuali, mentre la via dello yoga è quel corso austero e graduale di disciplina nel quale la mente dell'uomo passa di luce in luce, sino a gravitare nel grembo stesso dell'Essenza Divina, nostro vero ed incalcolabile tesoro. La capsula di energia concentrata deve però essere amministrata cautamente, giudiziosamente e gradualmente. Avido della luce, del giusto potere e dell'amore contenuti nel Samyama, lo yogi deve evitare di tuffarsi di testa in questo oceano di nettare, ma deve assorbire solo quanto è assorbibile dal suo sistema, altrimenti l'orgoglio penetrerà nella consapevolezza divina ed egli potrebbe perdersi nuovamente nel mare della mondanità. La trance yogica e la visione di Dio sono i massimi antidoti contro quella mondanità accentratrice che stanca, rende malati e mette in condizione di essere travolti dalle correnti mondane che trascinano nel mare delle cose del mondo. Sino a che possediamo un corpo è nostro privilegio usarlo come un battello che imbarca passeggeri verso le lontane spiagge dell'esistenza. E quando il corpo cessa di esistere non abbiamo più occasione di acquisire meriti e di farci strada verso il nostro Beneamato Divino attraverso tentazioni, pericoli, difficoltà ed ostacoli, inseparabili dal nostro pellegrinaggio terreno. Questo mondo non è la nostra casa; non è altro che un ponte che ci serve per passare dal tempo all'Eternità, un ponte che supera l'abisso tra la creazione e il Creatore, tra la terra e il cielo, tra l'uomo e Dio. Passo dopo passo, centimetro su centimetro, la conquista dell'Everest di Dio può essere intrapresa da novizi, aspiranti e anime divine che, dopo essere nate come esseri umani, non hanno mai perso di vista l'opportunità che è stata loro concessa di raggiungere Dio, rifuggendo dai peccaminosi piaceri effimeri della vita e innalzandosi verso i cieli illuminati dalla Sua stella.

 

Tadapi bahirangam nirbiijasya

 

Anche questi tre stadi interiori diventano esteriori (in relazione) al samādhi, privo di semi. Dopo aver fatto una distinzione fra stadi interiori ed esteriori dello Yoga, Patanjali aggiunge questo aforisma per stabilire che le otto parti dello yoga, incluse la concentrazione, la meditazione e la contemplazione, diventano esteriori quando si paragonano alla realizzazione del samādhi senza semi, il nirbiija samādhi, sul quale già si è soffermato nel primo capitolo degli yoga sutra. Il ciclo della nascita e della morte, sia umano che no, continua sino a quando "jnāna", la gnosi, appare e purifica la consapevolezza suprema che congiunge la goccia all'oceano, quella Jivātma individualizzata con il Paramātma o Anima Suprema. È soltanto con quella realizzazione di contemplazione dell'Infinito che la legge karmica, che presiede a nascite e morti, diventa impotente a generare un'altra vita, dopo l'assorbimento nell'Uno che non origina nascita e che è soltanto Dio. Come un seme buttato nel fuoco, sebbene sia ancora un seme, è tuttavia incapace di riprodursi come fa invece se deposto nel solco, analogamente attraverso la visione contemplativa estatica di Dio il piccolo ego viene bruciato e perde il suo potere di riprodursi in un'ulteriore nuova vita. L'ignoranza, come già detto più volte, è causa tanto di nascita e di morte come pure delle manifestazioni del mondo così come appaiono, mentre per il saggio e l'illuminato, il mondo non sarà più tale ma diventerà soltanto l'ombra dell'immenso Dio, del Supremo. Che cosa altro è mai infatti il mondo se non Dio e la Sua Immagine che gli ignoranti vedono frazionata, ma che il saggio comprende come l'Uno, l'Uno senza il secondo?

 

 

 

 

 

 

 

 

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