Introduzione
Dopo il primo livello del Kriya
I quattro nodi dei Chakra
I Kriya Superiori
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Diverse scuole di Kriya Yoga
 

Dopo un certo tempo di pratica delle tecniche del primo livello del kriya, normalmente alcuni anni, seguendo fedelmente tutti i passi del cammino indicati dal Guru si potrebbe dire con sufficiente certezza che alcuni buoni passi sul sentiero dello yoga sono stati compiuti ed un certo sviluppo spirituale è stato conseguito. In riferimento a quanto si può trovare in queste pagine dedicate allo yoga, al kriya nello specifico ed ai vari richiami ad alcuni concetti della fisica moderna, occorre dire che bisognerebbe avere assimilato e posto in essere nella propria quotidianità buona parte di quanto è stato esposto nelle sezioni precedenti. É superfluo ripetere che occorrerebbe avere ormai una propria routine di pratica quotidiana alla quale attenersi fedelmente ed a cui si potrebbe già, in certa misura, avere introdotto alcune sottili personalizzazioni, che non mutano in sostanza la base degli esercizi ma che ne testimoniano l'apprendimento. Paragonando il percorso spirituale ad una scalata e si potrebbero fare esempi di avvicinamenti, prime brevi scalate, prime vette raggiunte, altopiani e campi base in altura dove fermarsi per un poco di riposo. Continuando con questo tipo di esempio, a questo punto del cammino si potrebbe dire di trovarsi ormai sotto alla vetta principale, anche se ancora non è possibile vederla a causa delle nubi di maya, l'illusione cosmica, che avvolgono e sommergono la base della montagna e coloro che vi si trovano appresso. Non v'è dubbio che si ha davanti la scalata finale, con tutti i pericoli intrinseci che ne derivano ma anche forti di tutto il bagaglio di esperienza che si è accumulato. Ci si è lasciati alle spalle le pastoie dei morbosi desideri che mirano al soddisfacimento sensorio con tutte le delusioni che ne conseguono quando si rincorrono quegli illusori fantasmi, si sono attraversate le praterie del dubbio dal quale, benché ancora non completamente affrancati, si è però stati in grado più volte di sollevarsi al di sopra. Iniziare a scalare la vetta principale coincide con il conseguimento dei kriya superiori. Prima di dare una descrizione generale dell'Omkar e del Thokar, i kriya che vengono insegnati dopo il primo livello, vorrei però fare una premessa che trovo necessaria. Occorre considerare come l'intera procedura del kriya sia stata reintrodotta, fatto noto riportato sia in alcuni passi delle precedenti sezioni di questo sito che ben più nei dettagli nell'Autobiografia di uno Yogi di Paramhansa Yogananda, e sopratutto come è avvenuta e sta avvenendo la sua disseminazione nel mondo. É noto che gli insegnamenti autentici avvengono solo per trasmissione diretta da Guru a discepolo, tra i quali si instaura un rapporto personale basato sull'amore. É comprensibile come questi insegnamenti abbiano subito diverse modificazioni nella forma esteriore dovute spesso ai necessari adattamenti che il Guru ha introdotto in base alla natura dei vari discepoli. Alcuni dicono che Lahiri Mahasaya insegnò fino a 108 diversi tipi di kriya a differenti discepoli, tutti volti all'ottenimento delle varie qualità spirituali descritte negli Yoga Shastra ma adattati alle necessità di ciascuno. Ne deriva che vari rami siano nati dal ceppo principale che fu l'insegnamento ricevuto da Lahiri Mahasaya dal suo Guru Babaji e che questi rami facciano capo alle varie linee di Guru che sono originate dall' anno 161 Dvapara in poi, quando Lahiri Mahasaya stesso ricevette la sua prima iniziazione. Per renderla in una forma più occidentale e, perché no un poco italiana, dovremmo andare con la mente pressappoco ai tempi in cui Garibaldi compiva le sue scorribande per arrivare all'unità d'Italia e pensare che qualche anno dopo in un luogo remoto dell'India venivano reintrodotte per essere poi date per la prima volta al mondo moderno le istruzioni del kriya yoga. Da allora molti discepoli hanno ricevuto queste sacre istruzioni, appropriatamente diversificate, ed alcuni di loro, diventati a loro volta Maestri, le hanno poi trasmesse a nuovi discepoli affinché la conoscenza della grande scienza della liberazione non andasse più perduta. É però possibile che sinceri discepoli di Guru autentici abbiano ricevuto istruzioni in qualche modo diverse e talvolta con nomi diversi; per esempio non è detto che quanto è stato impartito con il nome di Omkar o di Thokar segua sempre ed assolutamente la stessa tecnica e procedura, oppure non è detto che le istruzioni riguardo alla prima iniziazione del kriya siano esattamente identiche, anzi è noto che differiscono parecchio a seconda delle varie scuole. In mezzo a tante ramificazioni io seguo, per l'esposizione teorica data in queste pagine, una strada che non considero in nessun modo né la vera né l'unica né la migliore e che in base a ciò ha bisogno delle necessarie sottolineature. A tal fine procederò con il dare alcune informazioni su come vengono date le varie e successive istruzioni secondo un certo numero di scuole che originano da rami molto vicini al ceppo principale di cui sopra, senza però menzionarle nello specifico; il solo scopo è quello di evidenziarne le differenze al fine di evitare inutili formalizzazioni da parte di chi legge. Ciascun discepolo che segua le istruzioni di qualcuna di queste linee di insegnamento non avrà difficoltà ad individuare la propria. Comune a tutte le scuole rimane però valido l'assunto che una tecnica, una volta data dal Guru sotto qualsiasi nome e forma, è considerata ricevuta da parte del discepolo che deve poi svilupparla con la pratica al fine di assimilarla e farla propria.


Scuola A Scuola B
  • Primo Kriya

    • Maha Mudra

    • Asana

    • Kriya Pranayama

    • Dhyana

    • Yoni Mudra

  • Secondo Kriya *

    • Thokar Kriya

  • Terzo Kriya

    • Omkar Kriya

  • Quarto Kriya

  • Quinto Kriya

  • Sesto Kriya

  • Altri Kriya superiori **

*  Dal secondo Kriya in poi è richiesta l'esecuzione del Kechari Mudra; esiste il divieto di tagliare il frenulo per ottenere il kechari
**I Kriya successivi al quarto non sono impartiti dal Guru ma sono ottenuti per via divina dal kriyaban stesso

  • Primo Kriya

    • Maha Mudra ( Mahãmudrã )

    • Navi Kriya ( Nãbhi Kriyã )

    • Kriya Pranayama ( Prãnãyãm )

    • Yoni Mudra ( o Jyoti Mudrã )

  • Secondo Kriya *

    • Omkar Kriya

  • Terzo Kriya

    • Thokar Kriya

 

 

 

*  Dal secondo Kriya in poi è richiesta l'esecuzione del Kechari Mudra

Scuola C Scuola D
  • Prima Iniziazione

    • Maha Mudra

    • Kriya Pranayama

    • Jyoti Mudra

  • Seconda Iniziazione  *

  • Terza Iniziazione

  • Quarta Iniziazione

* Nessuna indicazione specifica riguardo al Kechari Mudra che si considera verrà di per sé al momento opportuno

  • Tecniche Omkar

  • Kriya Yoga ( Shiva Shakti Pran )

  • Maha Mudra

  • Khechari Mudra

  • Jyoti Mudra

  • Paravasta

  • Sahaj Samadhi

 

Scuola E Scuola F
  • Primo Kriya

    • Yoni Mudra

    • Maha Mudra

    • Talabya Kriya

    • Navi Kriya ( Nãbhi Kriyã )

  • Secondo Kriya ( Omkar Kriya )*

    • Primo Kriya

    • Yoni Mudra

    • Maha Mudra

    • Secondo Kriya

    • Yoni Mudra

    • Maha Mudra

  • Terzo Kriya ( Thokar Kriya )

    • Primo Kriya

    • Yoni Mudra

    • Maha Mudra

    • Secondo Kriya

    • Yoni Mudra

    • Maha Mudra

    • Terzo Kriya

  • Quarto Kriya

    • Secondo Kriya

    • Terzo Kriya

    • Yoni Mudra

    • Maha Mudra

    • Quarto Kriya

*  Dal secondo Kriya in poi è richiesta l'esecuzione del Kechari Mudra

  • Mahamudra ( Grande Kriya)
  • Navi Kriya ( Kriya Elettronizzante )
  • Talabya Kriya/Kechari Mudra ( Kriya dello spazio Interno-Esteno)
  • Pranayam ( Kriya dell'equilibrio )
  • Primo Omkar Kriya ( Kriya Elettromagnetizzante )
  • Secondo Omkar Kriya ( Kriya Cosmo-Elettromagnetizzante )
  • Terzo Omkar Kriya
  • Quarto Omkar Kriya ( Kriya della trasmigrazione spontanea )
  • Yonimudra ( Kriya della beata rivelazione interiore)
  • Brahamayonimudra ( tranquillità spontanea )
  • Purna Kriya ( tranquillità eterna )
 

L'apparente confusione che può generarsi consultando la tabella sopra esposta non deve trarre in inganno. La pratica del Kriya Yoga ha un suo sviluppo logico e progressivo ed il fatto di associare un numero ed un nome ad una pratica non dovrebbe riguardare in alcun modo lo svolgimento della pratica medesima. Si potrebbe interpretare questo fatto come un ulteriore, eventuale, piccolo ostacolo mentale da superare. Personalmente credo che la confusione che si potrebbe generare osservando che le tecniche Omkar e Thokar sono a volte invertite ed associate con secondo o terzo kriya alternativamente, origini dal fatto che alcune scuole danno all'allievo il mantra al secondo kriya oppure al terzo. Si può inoltre notare che c'è una scuola che non ritiene necessario il Kechari Mudra per avere l'iniziazione al secondo Kriya lasciando che esso venga spontaneamente al momento opportuno; in questo caso si lavorerà più sulla globalità dei nodi piuttosto che su uno alla volta specificatamente. Jyoti Mudra e Yoni Mudra sono invece due nomi leggermente diversi che fanno riferimento alla stessa tecnica.

 
Introduzione ai Kriya superiori
 

Per il raggiungimento della beatitudine spirituale e della suprema elevazione sono praticamente sei i kriya ritenuti necessari. Di questi il primo, il secondo , il terzo ed il quarto devono essere ottenuti direttamente dal Guru o, in sua assenza, da qualcuno che abbia conseguito un livello di eccellenza in queste pratiche. I restanti sono di norma ottenuti, per via divina, direttamente dal kriya yogi avanzato poiché i principi che sottendono a queste tecniche particolarmente avanzate possono essere intuiti e quindi padroneggiati solo da chi ha completato con successo i precedenti livelli di preparazione ed avanzamento. Un prerequisito necessario per la pratica di questi kriya superiori è, oltre alla capacità di penetrare sempre più profondamente in determinate realizzazioni interiori, lo sviluppo di una particolare abilità fisica che è quella di riuscire a rivolgere indietro la lingua ed inserirla dentro la faringe, in alto, dietro l'ugola. Questo gesto è noto, nello yoga, come kechari mudra ed è un'altra pratica del kriya che proviene dal Tantrismo; per la quasi totalità delle scuole è un requisito necessario per le iniziazioni successive alla prima e senza il quale i kriya superiori non possono essere eseguiti. Il secondo kriya è conosciuto come l'Omkar Kriya, poiché con l'esecuzione di questa tecnica è possibile giungere alla rivelazione del suono sacro di OM che diventa così realtà per l'aspirante. La percezione delle differenti forme di questo suono testimonieranno il raggiungimento di sempre più alti stati di concentrazione e meditazione. Il terzo kriya conosciuto come il Thokar, il cui nome deriva dal particolare "tocco" che viene portato al chakra del cuore, permette di fare l'esperienza di questo centro di energia percependone il relativo suono, la manifestazione di OM a questo livello, che viene generalmente paragonato a quello di una campana o di un gong, ma senza che nulla li colpisca. La padronanza completa della tecnica di questo kriya, nella sua forma completa, dà all'aspirante la capacità di una ancora più profonda penetrazione interiore da cui derivano esperienze di realtà progressivamente più sottili fino ad arrivare alla percezione sempre più chiara della luce interiore.

I primi stadi di concentrazione interiore sono raggiungibili con la pratica appropriata del primo kriya e del secondo mentre per stati meditativi ancor più profondi occorre una notevole abilità nel terzo kriya. Il quarto poi, logicamente, è di difficile assimilazione qualora non si padroneggi perfettamente il precedente. Una volta compreso intimamente il loro sviluppo ci si rende conto di come, in realtà, non siano propriamente tecniche separate ma siano l'una la naturale e conseguente estensione dell'altra. La tradizione del kriya yoga dice che esse non possono essere eseguite senza che siano state insegnate ed appropriatamente trasmesse. Una volta che lo yogi ha pienamente assimilato anche la tecnica del quarto kriya non ha più bisogno della guida del guru essendo diventato egli stesso un consumato kriya yogi. Egli è ora in grado di ottenere da sé, per divina intuizione, i processi dei kriya che seguono, quinto, sesto, ecc... in modo da riuscire a rimanere sempre più a lungo immerso nella beata pace e nell'estasi che ne derivano. Si stima che il primo kriya sia stato dato ad un numero relativamente alto di persone che lo hanno richiesto e così anche il secondo, benché in misura minore; si dice anche che coloro che hanno effettivamente ottenuto il terzo kriya, secondo tutti i canoni della tradizione ed avendo quindi padroneggiato alla perfezione la tecnica del secondo, siano molto pochi e solo un numero estremamente ristretto sia arrivato ad una autentica trasmissione dell'insegnamento del quarto. É stato tramandato che Sri Yukteswar  abbia personalmente dato il quarto kriya ad un solo discepolo e che questi lo abbia a sua volta tramandato ad un paio di discepoli o pochi di più e stessa cosa cosa dicasi per Lahiri Mahasaya ed altri tra i suoi discepoli più avanzati.

Questo denota che il cammino verso la piena realizzazione spirituale incontra diverse forze resistenti al suo incedere. Queste forze si manifestano tipicamente, a livello sottile, nei nodi che si presentano nei vari chakra e che impediscono alla kundalini shakti, una volta risvegliata, si salire attraverso la sushumna nadi e raggiungere il settimo chakra permettendone l'apertura. É appunto di questi nodi che si parlerà, più in dettaglio, nel prossimo capitolo.

 
I quattro nodi
 

Come è già stato anticipato più volte in precedenza il cammino del Kriya Yoga si articola sostanzialmente in un lavoro di profonda pulizia interiore a vari livelli e sull'operazione di "scioglimento" di quattro nodi principali che nell'essere umano si manifestano nei rispettivi chakra ...

Chakra Nodo Tecnica kriya Azione delle tecniche Kriya
Vishudda jioha granthi Kechari Mudra scioglimento del nodo della gola
Anahata hridaya granthi Thokar scioglimento del nodo del cuore
Manipura navi granthi Navi kriya apertura del nodo dell' ombelico
Muladhara muladhar granthi maha mudra e quarto kriya apertura del nodo del coccige

... dopodiché diventa possibile l'attivazione e manifestazione della Kundalini Shakti che salirà ed attraverserà i chakra in ordine ascensionale. Occorre quindi che i tre nodi che stanno sopra al muladhara vengano sciolti secondo un' ordine predefinito, che è discendente ( cioè prima la gola, poi il cuore e quindi l' ombelico ). Solo così "sthira vayu" (respiro calmo), che si genera nella gola, può muoversi verso il basso attraverso la lingua (posta nel kechari mudra) e con il suono interiore di OM attraversare nell'ordine il centro del cuore e quello dell' ombelico ed infine arrivare in basso al centro coccigeo da dove può infine risalire risvegliando la Kundalini Shakti. Per ogni singolo nodo esistono le tecniche specifiche che permettono il lavoro di scioglimento su quel particolare chakra ed alcune sono già state menzionate e descritte nelle pagine precedenti.

Questi nodi tendono ad impedire l’intero processo del Kriya, separano l'individuo dall’infinito serbatoio di energia nel quale è immerso e di cui non ha consapevolezza, nutrono il mondo delle emozioni superficiali e dei pensieri vaganti che sorgono dalla chitta, giacciono alla radice delle nostre miserie e sembrano essere concepiti unicamente per preservare indefinitamente la nostra ignoranza. Sono come dei sigilli che proteggono "il nostro diritto al dolore e alla sofferenza" (un'espressione cara a Mère, fedele discepola e successore di Sri Aurobindo). Come tutte le cose della realtà manifesta non sono in realtà separate ma sono sempre interconnesse ad un qualche livello, anche questi "nodi" hanno una loro interdipendenza reciproca; sono intrecciati uno nell'altro e l’uno non è estraneo all’altro. Non avviene, di conseguenza, una piena apertura di uno prima che un'altro non si sia a sua volta aperto.

Per comprendere i vari livelli del Kriya conviene considerarli separatamente:

jioha granthi ( o nodo della gola )

I nodi nei chakra, essendo in definitiva squilibri energetici, tendono a manifestarsi sia sotto forma di eccesso che di carenza. Se una persona ha il quinto chakra energeticamente in eccesso può mostrare un tendenza a parlare molto senza dire quasi niente; è come se la bocca avesse bisogno di essere sempre occupata ma le parole che escono non fossero legate né al corpo né alle parti più profonde dello spirito. Nel corpo lo stress viene immagazzinato come una carica e quest'ultima è vissuta come tensione. Il quinto chakra, insieme con le mani e i piedi, è uno dei luoghi primari in cui è possibile scaricare l'energia e allentare la tensione. Se si è caricati in modo eccessivo, si può avere la tendenza a scaricare attraverso il chakra della gola, parlando sempre o addirittura gridando. Se ci si lascia andare a scaricare in modo conscio, emettendo suoni forti dal profondo del corpo in un contesto che non sia dannoso, si riesce a diminuire la tensione e a lasciare che il quinto chakra si apra e funzioni normalmente. A questo proposito si pensi all'armonia che si tende a creare col canto verbalizzato di un mantra. Se il chakra è carente di energia, invece, ci sono difficoltà di comunicazione. Mal di gola, spalle tese e una voce senza ritmo o risonanza sono sintomi di un blocco nel quinto chakra, causato forse da scarsa autostima, da schemi familiari che scoraggiavano la comunicazione ( "non parlare, non fidarti, non sentire" ), o semplicemente da una scarsa stabilità, che ha sostenuto in maniera insufficiente la volontà, il respiro e la voce. Nel piano fisico questo nodo si manifesta col fatto che la lingua non è in grado di toccare l'ugola e di conseguenza altri centri nel palato, separando l'individuo dalla riserva di energia che si trova nella regione del sahasrara. Il Kechari Mudra fa si che tale contatto avvenga. Oltre alla ricarica di fresca vitalità, impareggiabili momenti di pura calma e silenzio mentale riempiono l’intero essere e la mente comincia a perdere il suo ruolo dispotico. L'apertura del quinto chakra richiede la purificazione del corpo, la pratica quotidiana dell'uso della voce e l'attenzione ai ritmi della vita e ai propri schemi di comunicazione. Da tutto ciò nascono una comunicazione più potente, stati di coscienza profondi e una maggiore creatività.

hridaya granthi ( o nodo del cuore )

Buddha insegna che 'disfare il nodo del cuorÉ è il processo che porta alla liberazione, alla elevazione dell'essere, il passaggio ad uno stato superiore, ed i nodi fatti in un certo ordine posso essere sciolti solo nell'ordine inverso, con un metodo rigoroso che è una regola propria del Tantrismo. Fintanto che il nodo del cuore è ben resistente, non vi può essere contatto con la realtà spirituale: infatti il cuore batte all’impazzata non appena una qualche esperienza spirituale si sta avvicinando e distrugge in un attimo la calma e lo stato di grazia che, con tanta fatica, era stato creato. Il nodo del cuore è la causa principale della tendenza umana ad essere influenzati da altre persone, da chiese e da organizzazioni in generale. Dal cuore nasce la "compassione", un acuto desiderio di aiutare l’umanità sofferente, ma anche la tendenza a lasciarsi influenzare e deviare dalle altre persone, ad accettare come vero solo quello che è ostentato in una cornice di magnificenza e, si suppone, condiviso dalla maggioranza degli "altri". Questo nodo è responsabile delle emozioni superficiali che alimentano il mondo dei pensieri vaganti e coprono, soffocandolo, il reame dei sentimenti veri e profondi. L’uomo cede facilmente agli stati d’animo negativi di disagio, di avvilimento e reagisce ad essi sovente circondandosi di piccoli piaceri sensori. Questi piccoli godimenti che si concede non solo lo distolgono dai raggiungimenti superiori ma proprio gli sbarrano il passo. Egli non è in grado di vivere veramente la "sua storia" e realizzare il significato unico della sua esistenza: è come se rimandasse continuamente ciò accontentandosi di cose più piccole. La sua vita diventa una parodia di quello che avrebbe potuto essere. Se l'energia del chakra del cuore è carente si può sentire un senso di pressione all'altezza dello sterno e può essere difficile respirare profondamente senza sforzo. Il torace può avere un aspetto incavato, e c'è una tendenza alla depressione. Una persona in queste condizioni può scegliere di isolarsi, avere paura dei rapporti interpersonali o semplicemente non avere sufficiente autostima. Se il chakra del cuore è troppo chiuso, il nucleo stesso del sistema dei chakra è depresso, ed è difficile che l'energia riesca a passare dalla parte alta a quella bassa del corpo. Può addirittura esserci una profonda frattura fra mente e corpo. Condizioni come questa possono essere conseguenza di trascuratezza o di abbandono, di violenza emotiva o di esperienze difficili vissute durante l'infanzia. Nell'età adulta, l'accumularsi di dolore soffocato pesa notevolmente sul chakra del cuore e spesso opprime il respiro e la naturale espansione del torace. Se il chakra del cuore è eccessivo, o è aperto senza limiti, c'è la tendenza a dar via tutto, a concentrarsi talmente sugli altri da ignorare se stessi: questo è il profilo di una personalità dipendente. In questo caso non ci si basa sul proprio centro, ma piuttosto si vive letteralmente attraverso gli altri. Le cause di queste condizioni possono essere paradossalmente molto simili a quelle di un chakra del cuore carente. A seconda che si scelga la difesa dell'isolamento e della chiusura in sè stessi o l'iperattività, cambierà solamente il modo in cui l'energia passa attraverso il chakra del cuore per uscire nel mondo esterno dei rapporti interpersonali. Ancora una volta l'obiettivo è un sano equilibrio. Nel Kriya si arriva a sciogliere questo nodo con la lunga concentrazione sul chakra del cuore e in particolare con l’ascoltare il suono, simile a quello di una campana o di un gong, che proviene da esso. Di grande aiuto sono le varie forme di Thokar, come quella semplice che sarà descritta tra poco e quelle più avanzate in cui il quarto chakra, assieme agli altri situati lungo la sushumna viene come "tagliato" dal "tocco".

navi granthi ( o nodo dell'ombelico )

La vita incomincia con un nodo; quello fatto dall'ostetrica all'ombelico! Ed a livello fisico è una esperienza attraverso la quale passano tutti gli esseri umani, benché in genere nessuno ne serbi un ricordo cosciente. Ad un livello più sottile questo nodo fu generato dal trauma del taglio del cordone ombelicale, con la conseguente frattura avvenuta all’interno del nostro essere. Una realtà unica è stata divisa in due parti le quali lottano per una vita intera l’una contro l’altra. La componente spirituale dell’uomo, che si manifesta come gioia e calma, si stabilisce nei chakra superiori e nella testa mentre la componente materiale, nei chakra inferiori. Tale frattura è la sorgente permanente di tanti fattori dolorosi nella nostra vita: difficilmente ci può essere felicità duratura se l’unità originale non viene ricomposta, almeno parzialmente. Il compito fisico del terzo chakra è quello di metabolizzare adeguatamente il cibo trasformandolo in energia. Le disfunzioni più comuni possono manifestarsi in molti modi. Problemi di digestione o di metabolismo, come l'ipoglicemia o la difficoltà a digerire, rivelano che c'è scarsa energia, e questo è un esempio di carenza. Il diabete o l'ulcera allo stomaco rappresentano invece un eccesso delle funzioni metaboliche, una reazione esagerata. Così come per tutti gli altri centri sottili, anche i nodi del terzo chakra sono dovuti a un eccesso o a una carenza di energia. La dipendenza da sostanze che danno l'illusione dell'energia, come la caffeina, lo zucchero, le anfetamine o la cocaina, nasce da una mancanza di base nella propria sensazione di (giusto) potere o di vitalità. Queste sostanze danno un sollievo temporaneo, ma a lungo andare provocano una deficienza ancora maggiore, perché privano il corpo della salute e del riposo necessari. La stanchezza cronica, che è un'ovvia carenza del terzo chakra, può derivare da una dipendenza oppure da una malattia che un sistema immunitario debole non ha l'energia per combattere. Il riposo e l'attenzione alla dieta sono d'aiuto per migliorare un'energia fisica carente. Anche l'obesità rientra nei casi di carenza energetica del terzo chakra, perché il corpo non riesce a metabolizzare correttamente il cibo e a trasformarlo in energia (l'obesità, comunque, è un problema complesso che può riguardare più di un chakra). Sciogliere i blocchi del terzo chakra per esprimere la rabbia e per riappropriarsi del proprio (giusto) potere può essere di grande aiuto per riuscire a ritrovare un peso più equilibrato. Altre caratteristiche fisiche che rivelano lo stato energetico del chakra manipura sono un torace rigido, teso (a meno che non si tratti di un sollevatore di pesi) che indica che la forza non riesce a scorrere attraverso lo stomaco, che c'è tensione costante o la necessità di difendersi, un diaframma infossato, l'incapacità di respirare profondamente con il ventre o una zona del terzo chakra collassata. Tutte queste manifestazioni fisiche indicano la paura di assumere il potere, di farsi avanti o a volte di accettare le responsabilità e sono caratteristiche di carenza. Chi ha un terzo chakra eccessivo può desiderare di assumere dei sedativi, come alcool, tranquillanti oppure oppiacei, perché questi distendono un sistema nervoso iperattivo e danno un senso di rilassamento. Un terzo chakra eccessivo può manifestarsi in quello che si presenta come un ventre prepotente, una rotondità esagerata attorno alla vita a cui non corrisponde un pari eccesso di peso in altre parti del corpo e che non è dovuta a fattori genetici. Chi ha una forte necessità di avere il controllo della situazione, di aver potere sugli altri, di dominarli o di sembrare sempre superiore, sta compensando in misura eccessiva una sensazione scorretta del proprio vero potere. La mancanza di autostima, oppure un represso senso di vergogna, si trovano di solito alla base sia di un terzo chakra carente sia di uno eccessivo. Acquisire consapevolezza delle proprie radici e del proprio passato ed esaminare a fondo i propri sentimenti sono ottimi metodi per vincere quella vergogna e per riportare il terzo chakra al suo giusto ruolo all'interno del sistema dei chakra, il che equivale a intessere la materia e la coscienza all'interno del potere interiore. A sciogliere questo nodo collaborano, entrando nel contesto delle pratiche specifiche del Kriya Yoga, sia la respirazione addominale propria del prānāyama che le varie forme di Navi Kriya. La consapevolezza attraversa la "porta" dell’ombelico e raggiunge la sede della corrente samana, nella parte medio bassa dell’addome. Questa regione contiene lo stato di pace di cui noi abbiamo gioito prima della nascita. Nella letteratura mistica cinese il processo di entrare in tale regione (nel Dan Tien) è indicato da espressioni come: "Ritorno al centro; unione della terra con il cielo; nascita del fiore d’oro, creazione della perla risplendente". La trasformazione psicologica che proviene dal sciogliere questo nodo è l’unificazione di tutte le diverse sfaccettature della personalità, la scoperta di un unico filo interiore che collega le azioni passate con le forze che attualmente trascinano in avanti la nostra aspirazione spirituale.

muladhar granthi ( o nodo della radice )

Un primo chakra che presenti carenze energetiche non è abbastanza sviluppato per dare sostegno, contenimento o solidità adeguati alle necessità dell’individuo. Ciò è dovuto di solito a problemi verificatisi nella prima infanzia. Le manifestazioni di mancanza nel primo chakra sono numerose e le principali sono la tendenza a provare spesso paura e la reazione a possibili minacce contro la propria sopravvivenza, che può andare avanti anche se non esiste un pericolo vero e proprio. Dato che la solidità del primo chakra crea contenimento, un chakra carente conferisce dei confini scarsi, il che può esprimersi come difficoltà nel dire di no, nel prolungare una gratificazione, nel risparmiare denaro o nel lavorare con la giusta autodisciplina per raggiungere un determinato obiettivo. Inoltre il primo chakra ci dà la capacità di concentrarci su un compito specifico, perciò una eventuale mancanza si esprimerà come una tendenza a sentirsi storditi, confusi o vaghi, o ancora incapaci di svolgere un compito abbastanza a lungo da completarlo. Infine, un primo chakra scarsamente energetico ci impedirà di sentirci pienamente nel nostro corpo, provocando magari problemi di salute o semplicemente la sensazione di aver perso il contatto con il mondo fisico. In quanto base della nostra capacità di badare a noi stessi, questa mancanza può lasciarci in una situazione finanziaria costantemente problematica, dandoci la sensazione di essere sempre "ai limiti della sopravvivenza". Gli eccessi nel primo chakra si manifestano invece nella tendenza ad aggrapparsi alla sicurezza. L'accumulo di possedimenti, la paura di cambiare, la necessità di ancorarsi a terra con pesi fisici sono tutti esempi della necessità di eccedere nel primo chakra per sentirsi normali. È importante comprendere che entrambe queste condizioni nascono proprio da un nodo al primo chakra. L'eccesso e la mancanza sono solo sistemi diversi di affrontare questo squilibrio. La mancanza è un modo di evitare di rispondere ai problemi legati al primo chakra, mentre l'eccesso è una compensazione esagerata. Nel Kriya Yoga, in particolare, questo nodo rappresenta la difficoltà quando non l'impossibilità di sottrarre l’energia dal corpo e guidarla nel sottile canale della spina dorsale. Questo avviene quando la realtà Omkar si manifesta o nell’aspetto di luce o in quello di sensazione di movimento. Oltre allo yoni mudra di grande valore sono le tecniche che vengono generalmente classificate come Quarto Kriya. Il lavoro su questo nodo avviene intensivamente durante il periodo finale della vita del kriyaban, quando si prepara al momento solenne in cui abbandonerà consapevolmente il corpo che nello Yoga è conosciuto come Mahasamadhi. Questo significa essere in grado di cooperare, attraverso mezzi yogici, col processo della morte. Non c'è violenza al corpo, piuttosto un profondo rispetto per esso. È noto che ciò può avvenire solo quando l’infallibile intuizione spirituale sente che è arrivato il momento giusto, non prima. Il kriyaban accetterà pacatamente il naturale decadimento del suo corpo, inclusi gli eventuali disturbi fisici con il loro implicito dolore. Quando giunge il momento propizio, il meccanismo della morte è invitato immergendosi profondamente nella realtà Omkar e calmando il cuore.

 

 
Nodi e Stringhe: Un tentativo di parallelo con la fisica
 

' Volendo azzardare anche per i nodi un parallelo con la fisica moderna, sappiamo che ci furono dei tentativi di sviluppare, riguardo ad essi, vere e proprie teorie matematiche. Una in particolare fu proposta nel 1867, da Lord Kelvin (William Thomson - Belfast, 26 giugno 1824 – Netherhall, 17 dicembre 1907 - fisico e matematico britannico), che provò a considerare gli atomi come nodi dell'etere, analoghi alle volute del fumo nell'aria. Mentre infatti queste ultime tendono a dissolversi rapidamente, in un fluido perfetto come l'etere i vortici si sarebbero mantenuti indefinitamente, comportandosi come nodi di gomma. I legami fra gli atomi sarebbero dunque stati spiegati da reciproci annodamenti, senza bisogno di far intervenire speciali forze atomiche. La proposta stimolò uno studio dei tipi più semplici di nodi, ma cadde in disuso quando Bohr propose invece di considerare gli atomi come sistemi solari in miniatura, tenuti insieme da forze analoghe a quella gravitazionale. Questo modello fu poi a sua volta superato ed oggi i nodi sono ritornati di moda nella cosiddetta 'teoria delle cordÉ, secondo la quale le particelle atomiche sarebbero appunto corde annodate in varie maniere. La teoria delle corde, più conosciuta in fisica come teoria delle stringhe, ipotizza che la materia, l'energia e in alcuni casi lo spazio e il tempo siano in realtà la manifestazione di entità fisiche sottostanti, chiamate appunto stringhe o brane, a seconda del numero di dimensioni in cui si sviluppano (una nel caso delle stringhe, due o più nel caso delle brane).

[ Un approfondimento in forma "comprensibile" sulla teoria delle stringhe lo si può trovare a questo link ... ]

Senza avventurarsi in complessi ragionamenti logico-scientifici, che ad oggi peraltro non sono ancora stati verificati sul piano sperimentale, è interessante invece notare una asserzione "filosofica" che si può trarre dalla trasposizione della teoria delle corde (e quindi dei nodi) in ambito matematico rappresentata dal teorema di fattorizzazione dimostrato nel 1949 dal matematico tedesco Horst Schubert. Il Teorema di Schubert asserisce che qualunque nodo può sempre essere decomposto in modo unico in una successione di nodi elementari denominati, similarmente alla nomenclatura matematica dei numeri, "nodi primi". Il teorema è in effetti l'analogo del teorema fondamentale dell'aritmetica nel contesto dei nodi, dove l'operazione di moltiplicazione è sostituita con la somma connessa fra nodi. Sulla base di questo teorema viene da pensare che i "nodi primi" a cui è soggetto il cuore degli esseri umani siano i medesimi per tutti mentre i nodi composti, quelli cioè propri ad ognuno di noi, derivino da una somma personale di cui il singolo ne sia l'unico artefice e che solo lui sia in grado di sciogliere. In pratica un bel pezzo del karma personale.'

 

 

Kechari Mudra
 

Non ci si dovrebbe dimenticare del mudra più importante di tutti nel Kriya, quantomeno il più importante per la pratica dei kriya superiori. Se non si è ancora riusciti in alcun modo nella sua esecuzione occorre continuare ad allenarsi con il talabya kriya e cercare di introdurre la lingua dietro alla faringe almeno con l'aiuto delle dita per arrivare poi alla sua esecuzione "naturale". Occorre muovere indietro o di lato la lingua e spostarla fino al tetto della bocca e indietro fino a quando non scivola dietro l'ugola, poi spingere ulteriormente fino a quando questa scivola dietro il palato molle. Spingere ancora fino a quando scivola dietro la faringe nasale e se si riesce a compiere questa operazione si è in grado di chiudere una narice, o entrambe, con la lingua da dentro. Spingendo infine la punta della lingua in alto, si arriva ad una sporgenza ossea che è situata appena sotto la ghiandola pituitaria e la forza che è diretta verso l'alto può ora fluire dalla punta della lingua come le fiamme sotto una pentola sul fuoco; è qui che si chiude il "circuito" e si realizza la connessione finale Stimolando la ghiandola pituitaria, la ghiandola pineale comincia a vibrare, e le due forze sono attratte magneticamente per unirsi nella regione dell' occhio spirituale. Questo esercizio richiede una certa pratica in quanto non è di facile esecuzione, ma quando si riesce a portarlo a termine si è in grado di provare l'esperienza della luce interiore e si riesce a percepire uno stato di unicità.

Alcuni praticanti di Kriya sostengono che il kechari mudra non sia necessario ma può darsi che siano in errore. Perfino illuminati maestri esterni al Kriya Yoga hanno riconosciuto che esiste uno spazio energetico vuoto, un collegamento mancante, tra il punto superiore della spina dorsale ed il midollo allungato che connette il midollo spinale al cervello; questo spazio vuoto è colmato dall' esecuzione del kechari mudra. Si dice che in India, il modo in cui uno studente pratica il kechari mudra sia cruciale per la sua iniziazione ai kriya superiori. Gli acharya indiani chiedono di vedere l’esecuzione effettiva del kechari; domandano che si apra la bocca di fronte a loro e controllano che la lingua scompaia nella cavità nasale. É un fatto noto che praticare i kriya superiori con la lingua posta nella faringe nasale sia diverso dal praticarli mantenendo la lingua in posizione normale (sia la pressione interna prodotta dal kechari che il fatto di colmare lo spazio energetico vuoto di cui sopra, fanno sì che il Thokar funzioni nel modo più efficace). D’altra parte il kechari può essere veramente difficile, quasi impossibile per alcune persone. Allora la pratica dei Kriya superiori deve essere evitata ? Riguardo a questo argomento è possibile che Lahiri Mahasaya richiedesse certamente uno sforzo regolare nel talabya kriya, ma che abbia concesso l’iniziazione al Thokar anche a coloro che non riuscivano ad assumere la posizione corretta della lingua. La sua attitudine, il suo prendere parte alle sofferenze umane, rendono plausibile credere questo. Con una pratica regolare del Talabya Kriya, prima del pranayama o in qualsivoglia momento della giornata, molti effetti tipici del kechari possono comunque essere ottenuti. Il kechari possiede diversi gradi: alcuni sono capaci di tenere la punta della lingua sull'ugola, ma non di entrare completamente nella faringe nasale o toccare una particolare zona nella parte più alta del palato. Anche solo le prime tappe di esso, comunque, permettono di ricevere grandi risultati con la forma base del Thokar. Non si vuol in alcun modo affermare che il Kechari non sia importante, solo che può essere molto difficile da eseguire. É indubbiamente un mezzo efficace e potente e infatti se ne vedrà la grande importanza che riveste nella forma evoluta del Thokar.

Qualora invece si riesca nella sua esecuzione, il prānāyama eseguito assieme al kechari mudra presenta, durante l’espirazione, un suono simile ad un flauto, "Shii Shii…" Lahiri Mahasaya lo descriveva "simile a quando si soffia attraverso il buco della serratura", spiegando che "è come un rasoio e tutto, cioè la mente, venga tagliato via per mezzo di esso". Annienta ogni motivo di disturbo, pensieri inclusi. Affinché questa condizione si manifesti, è necessario però molto rilassamento; infatti un eventuale sforzo per aumentarne l’intensità, lo farà sicuramente scomparire all’ istante. Quando esso appare, la sensazione è che abbia origine non tanto nella gola ma nella parte frontale della faringe. Ora, mentre un kriyaban attende il verificarsi di questo fenomeno, che può richiedere molto tempo, può cercare di invitarlo, di "aprirgli le porte" creandolo nella sua coscienza. Mentre durante l’inspirazione egli pensa intensamente "HOooo", quando espira pensa intensamente "HIiii" o "Shii". Questi due bija mantra conducono in modo inesplicabile alla trasformazione del corpo pranico. La loro intonazione mentale è preziosa, ma non si dovrebbe dimenticare che essa è solo un passo temporaneo: un giorno o l’altro sia il kechari mudra che il suono naturale del flauto dovranno apparire. Il pensare a tali suddetti suoni non dovrebbe essere una "stampella" cui essere legati per sempre, una regola da seguire rigidamente, in quanto ciò condurrebbe ad un modo grezzo e tamasico di praticare il pranayama, la qual cosa, a sua volta, non permetterebbe mai al suono corretto del flauto di apparire.

Il fatto che la ghiandola pituitaria sia stimolata ha vaste implicazioni per il ringiovanimento del corpo. Uno dei segreti dei Gorakhnath yogi, che hanno sottolineato l'importanza della pratica del kechari mudra, è stato il conseguire "kaya siddhi", l' estrema longevità fisica. La ghiandola pituitaria è anche chiamata la "ghiandola principale" del corpo perché controlla la secrezione degli ormoni. Queste sostanze hanno un forte effetto sul metabolismo, la crescita, la maturazione, la sessualità, la riproduzione ed altre importanti funzioni corporali. É noto che invecchiando si secernano meno ormoni nel corpo; forse la capacità dei Gorakhnath yogi di ringiovanire il corpo e di estendere la longevità risiede nella loro capacità di stimolare la ghiandola pituitaria attraverso la pratica del kechari mudra. Oggi alcuni anziani fanno il tentativo di ringiovanire il corpo prendendo integratori specifici per stimolare la secrezione dell' ormone della crescita o stanno utilizzando una terapia ormonale sostitutiva finalizzata alla crescita. Vi è inoltre un altro aspetto del kechari mudra; nello yoga si dice: "tanto sopra, quanto sotto", a sottolineare il fatto che i cambiamenti che avvengono a livello sottile producono i relativi mutamenti manche a livello del corpo fisico e viceversa. Quindi se notevoli cambiamenti possono verificarsi nel corpo fisico, a causa della stimolazione della ghiandola pituitaria attraverso il kechari mudra, allora si può essere sicuri che altrettanto notevoli cambiamenti siano avvenuti anche nel "pranamaya kosha" (corpo sottile) perché Il corpo fisico non fa altro che riflettere i cambiamenti avvenuti nel corpo sottile. Un' altro dei vantaggi di praticare kechari mudra è che la mente diventa tranquilla ed è più facile a concentrarsi. In breve, il kechari mudra provoca cambiamenti nel flusso di prana, nella coscienza e nel corpo fisico.

Se si dovesse quindi riuscire bene nella pratica del kechari mudra si può cercare anche di entrare in "sintonia" con l' Ajna Chakra: questo si può realizzare senza sforzo e con profitto sia quando si pratica con la lingua in kechari mudra, sia con la punta della lingua volta semplicemente indietro. Il kriyaban percepisce una linea ideale che viene indietro dal Kutastha alla regione occipitale e un’altra che collega le due tempie. Oscillando la testa avanti e indietro (molto dolcemente di pochi millimetri) e poi lateralmente si riesce a sentire con facilità il punto d’intersezione tra le due linee (sopra il midollo allungato e un poco più in avanti). Approfondendo la concentrazione in tale regione per circa un paio di minuti, sia che la lingua tocchi l’ugola o che si trovi nella posizione del kechari mudra, sarà possibile percepire qualche eventuale sapore (Amrit, nettare) sulla punta della lingua stessa. Gran parte della letteratura sul Kriya descrive quanto sia importante percepire questo cosiddetto "nettare" , un fluido dal gusto dolce che scende dal cervello nel corpo attraverso la lingua. Non indotto da autosuggestione, esso provoca un gran senso di gioia. Onde favorire questa esperienza, ed al contempo stimolare il risveglio di Kundalini, si raccomanda di toccare, con la punta della lingua, tre punti specifici:

  1. ugola

  2. la prominenza ossea, una piccola asperità sul tetto del palato sotto la ghiandola pituitaria

  3. il tessuto molle sopra il setto nasale (indicato nella letteratura kriya, come una "ugola sopra l’ugola")

La punta della lingua dovrebbe ruotare su questi punti almeno per 20-30 secondi, quindi facendo un movimento con labbra e bocca come per centellinare un liquore, si percepirà un certo particolare sapore sulla superficie della lingua. Si può ripetere l’esercizio diverse volte durante il giorno. Quando la vera sensazione di nettare si manifesta, ci si concentra su di essa, tenendo la lingua in contatto con uno dei centri descritti sopra.

Sin dalla nascita, la nostra energia ha continuato a fluire verso l’esterno rendendoci incapaci di prendere contatto con la nostra riserva interiore. Un'altro degli scopi del kechari mudra è di riacquisire tale abilità e riuscire a percepire il nettare è il segno del contatto ristabilito. Capita talvolta che non ci si renda conto di quanta energia venga sprecata quando, per esempio, si parla concitatamente ad una persona o ci si trovi ad esprimere in pubblico il proprio pensiero. Questo continuo "colloquio", interiore o esteriore che sia, è una maniera perniciosa di consumare la propria vitalità. Il kechari mudra è in grado di mutare quest’atteggiamento nel suo opposto, quello in cui solamente le reali esperienze ed attività quotidiane sono prese in considerazione e metabolizzate per mezzo dello specchio dell’intuizione. Il kriyaban diviene quindi pronto per un’ eccellente pratica del pranayama ed a portare la sua coscienza nello stato, definito da Patanjali, di "pratyahara".

 

 

 

 

In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.

 

Giovanni 1, 1-3

 

OM
 

Il Verbo, OM (scritto come AUM), è il principio della creazione, il suono sacro che è percepito dallo yogi avanzato durante la meditazione. Sri Yukteswar lo descrive come la Forza Onnipotente che si rende manifesta quale vibrazione e che si palesa come un suono particolare: OM appunto, Amen, il Verbo. Secondo Sri Vinoba Bhave, considerato l'erede spirituale del Mahatma Gandhi, la parola latina Omne e la parola sanscrita Aum derivano entrambe dalla stessa radice ed ambedue implicano il concetto di onniscienza, onnipresenza e onnipotenza. Quindi "OM" e "AMEN" fanno riferimento alla medesima "sostanza" ed allo stesso concetto esprimendo, in ultima analisi, lo stesso significato. Un altro termine per Aum è "pranava" che deriva dalla radice "nu" che significa lodare a cui è aggiunto il prefisso "pra" che indica superiorità. La parola completa ha quindi il significato di più alta glorificazione. Nei suoi differenti aspetti OM esprime l'idea del mutamento, ossia l'idea del tempo nell'Eterno Immutabile e l'idea del divisibile, ossia l'idea dello spazio nell'Eterno Indivisibile. Il simbolo "Aum" è composto di tre sillabe, cioè dalle lettere A, U, M, e viene scritto con un puntino al di sopra. Alcuni esempi delle diverse interpretazioni dategli possono essere accennati in questa sede per chiarire il suo significato.

  • La lettera A simboleggia lo stato cosciente o sveglio, la lettera U lo stato di sogno e la lettera M il sonno senza sogni della mente e dello spirito. Il simbolo completo, insieme al crescente ed al puntino, rappresenta il quarto stato, che riunisce in sé tutti gli altri tre e li supera: è questo lo stato di samadhi

  • Le lettere A, U e M simboleggiano rispettivamente il modo di parlare, la mente e il respiro vitale, mentre il simbolo completo indica lo spirito vivente, che è una parte dello spirito divino

  • Le tre lettere rappresentano anche le dimensioni di lunghezza, di larghezza e di profondità, mentre il simbolo intero rappresenta la Divinità, che è al di là delle limitazioni di figura e di forma

  • Le tre lettere A, U e M simboleggiano l'assenza del desiderio, della paura e dell'ira, mentre il simbolo completo indica l'uomo perfetto la cui saggezza è fermamente basata nel divino

  • Rappresentano anche i tre generi, maschile, femminile e neutro, mentre il simbolo completo rappresenta tutta la Creazione insieme al Creatore

  • Esse simboleggiano pure le tre guna o qualità di sattva, ràja e tama, mentre il termine completo rappresenta un gunatita, cioè colui che ha superato e trasceso la forza dei guna

  • Le lettere corrispondono ai tre tempi - passato, presente e futuro - mentre il simbolo completo rappresenta il Creatore, che supera le limitazioni del tempo

  • Esse indicano anche l'insegnamento impartito rispettivamente dalla madre, dal padre e dall'insegnate, o guru. Il termine completo simboleggia la conoscenza dell'Io, l'insegnamento imperituro

  • Le lettere A, U e M descrivono i tre stadi della disciplina yogica, cioè àsana, prànàyàma e pratyàhàra. Il simbolo completo indica lo stato di samadhi, il fine che viene raggiunto mediante l'ausilio tre stadi precedenti

  • Rappresentano la triade della Divinità, cioè, Brahmà - il Creatore, Visnu - il Mantenitore, e Siva - il Distruttore dell'Universo. Si dice che il simbolo completo rappresenti Brahman da cui l'universo emana, si sviluppa e si realizza e nel quale alla fine si assorbe; non cresce né cambia. Molti cambiano e passano, ma Brahman è colui che non cambia mai

  • Le lettere A, U e M simboleggiano anche il mantra "Tat Twam Asi" (Tu sei quello), la realizzazione della divinità umana che è in se stessi. Il termine intero rappresenta tale realizzazione, che libera lo spirito umano dai confini del corpo, della mente, dell'intelletto e dell'io

Compresa l'importanza del simbolo Aum, lo yogi concentra la propria attenzione sulla Divinità che ama aggiungendo Aum al nome del Signore. Essendo il termine Aum di significato troppo vasto ed astratto, lo yogi riunisce i propri sensi, volontà, intelletto, mente e ragione concentrandoli sul nome del Signore ed aggiungendo la parola Aum, con una precisa devozione, intuendo in tal modo il significato e il senso del mantra. La sillaba mistica AUM è, per lo yogi, come l'arco, la freccia è l'io individuale e Brahman è il bersaglio, che verrà penetrato da colui che saprà concentrarsi; la "Meta" è arrivare ad essere in lui come la freccia nel bersaglio".

 

 

 

 


'yad aksaram veda-vido vadanti
visanti yad yatayo vita-ragah
yad icchanto brahmacaryam caranti
tat te padam sangrahena pravaksye

sarva-dvarani samyamya
mano hridi nirudhya ca
murdhny adhayayatmanah pranam
asthito yoga-dharanam'


' I grandi saggi situati nell'ordine di rinuncia,
esperti nei Veda e che pronunciano l' omkara,
penetrano nel Brahman.
Ti descriverò ora questa via di salvezza che richiede la continenza.
Lo yoga consiste nel distacco da tutte le attività dei sensi.
Chiudendo le porte dei sensi, mantenendo la mente fissa sul cuore
e trattenendo l'aria vitale alla sommità del capo,
ci si può stabilire nello yoga.
'


Bhagavad - Gita VIII. 11-12

 

Omkar Pranayama
 

...e poi prosegue nel verso successivo con: 'Stabilito così nello yoga e vibrando la sillaba OM, la suprema unione di lettere, colui che all'istante di lasciare il corpo pensa a Me, il Signore Supremo, raggiungerà certamente i pianeti spirituali.' Per praticare lo yoga è necessario chiudersi a tutti i desideri dei sensi. Questo è il pratyahara, controllare pienamente gli organi di percezione e separarsi da ogni oggetto di piacere materiale. Così lo yogi può fissare la mente sull'Anima Suprema e far salire il soffio vitale fino alla sommità del capo. Se nel presente grado di evoluzione spirituale si può sinceramente dire di trovarsi nei pressi della "vaga" zona di confine del pratyahara, allora può essere il caso di procedere allo studio ed alla comprensione dell' Omkar Pranayama al fine di introdurlo nella propria routine di pratica. Come già anticipato più volte, mentre i "confini" del cosiddetto primo kriya riescono ad essere delineabili con buona approssimazione, procedendo oltre le cose si fanno più incerte. É infatti possibile che alcune linee di insegnamento attribuiscano come secondo kriya proprio l'Omkar Pranayama così come è possibile che molte altre lo insegnino come ultimo perfezionamento del "primo" Kriya Pranayama. Io personalmente non ho nessuna risposta definitiva a questo; l'universo kriya è talmente variegato e multicolore che non sarà certo un praticante qualunque a piantare dei paletti precisi. Quello che appare più certo è la logica e naturale evoluzione che l'Omkar Pranayama rappresenta relativamente al "primo" Kriya Pranayama. Si noterà infatti, conoscendone la tecnica e facendola propria, che mentre il pranayama è sicuramente la tecnica centrale di tutto il kriya, l’Omkar ne è la base, la materia prima da cui derivano poi tutti i kriya superiori: essi sono, infatti, un approfondimento di questo. Ferma restando l'esecuzione del Kriya Pranayama, del quale si deve già avere una completa conoscenza ed una certa padronanza di esecuzione in tutte le sue componenti, qui sono suggeriti taluni movimenti del capo e viene aggiunto il canto mentale di un mantra dato dal guru.

'Molti non praticano il mantra japa chakra per chakra. Se così non avviene il risultato del Kriya sarà tamasico (secondo le qualità di tama guna, quindi di qualità materiale) ed anche i sui frutti saranno, di conseguenza, tamasici. Perciò, durante il Pranayama, si deve porre attenzione ai sei chakra della spina dorsale e praticare il japa in ognuno di essi.'

Lahiri Mahasaya

Con queste parole, nella lettera numero 79 del suo "Ghirlanda di Lettere" Lahiri Mahasaya dà questa indicazione specifica. Quando si insegna il Kriya Pranayama ad un nuovo iniziato, con le sole inalazione ed esalazione, siano esse nel sushumna nadi o nella spina dorsale, ma escludendo le istruzioni sul canto del mantra japa in ogni chakra, questi sta meramente eseguendo un esercizio fisico e non una pratica spirituale. Questo esercizio fisico di inspirazione ed espirazione, se anche ben eseguito attraverso il sushumna nadi, potrà produrre un buono stato di rilassamento e fornire un buon apporto di energia fisica, sarà anche in grado rimuovere qualche ostruzione dei canali sottili ma non potrà portare il praticante agli alti stati di coscienza, perché senza l'uso dei mantra vengono interessati soltanto i cinque prana della sostanza materiale ( ksiti-solido-terra, ap-liquido-acqua, tejas-igneo-fuoco, marut-gassoso-aria, vyoma o akasa-etereo-etere ). Solo quando si introducono i mantra della tradizione di Lahiri viene invocata la luce dell' Anima di cui si potrà, eventualmente, fare l'esperienza. Il metodo corretto di questa pratica dovrebbe essere imparato da un Guru qualificato. Non bisogna pensare che la pratica del primo Kriya Pranayama sia sbagliata, anzi è quella più appropriata per iniziare; ma come tutte le discipline hanno vari gradi di evoluzione anche il kriya segue il medesimo principio. Sarebbe forse stato sbagliato iniziare da subito con un esercizio spirituale vero e proprio poiché non si sarebbe stati in grado di comprenderne la portata.

Come già anticipato prima, la tecnica dell'Omkar è esattamente un Kriya Pranayama con la differenza che il Mantra "OM" oppure uno di dodici sillabe tipo "OM NA MO BHA GA VA TE VA SU DE VA YA" viene cantato mentalmente in ogni Chakra. L'Omkar Pranayama prosegue quindi in un modo più sottile. Il respiro è continuo e scorre lievemente mentre il canto mentale delle sillabe del Mantra in ciascun chakra viene eseguito con estrema cura. Il flusso respiratorio produce solo un leggero, debole suono oppure non ne produce alcuno. La contrazione alla base della spina dorsale è interiorizzata e sostituita gradatamente da una certa pressione mentale. Durante la rotazione della consapevolezza nel cervello, la testa tende a restare ferma, testimoniando solo il fluire dell' energia pranica. Quello che è importante sottolineare è che, durante l’inspirazione e l'espirazione, il flusso di energia tocca ora profondamente ciascun chakra, lo avvolge, quasi come a fargli una "carezza". Quello che durante le prime esecuzioni del pranayama, era prematuro sperarsi, quasi impossibile che avvenisse, ora avviene naturalmente e con facilità. La consapevolezza e l’energia prendono a fluire all’interno del sottile canale del sushumna. Non è solo questione di una corretta visualizzazione in quanto può essere percepito chiaramente. Inoltre, durante la ritenzione interna in alto, nella testa, la rotazione antioraria della consapevolezza sembra essere come risucchiata all’interno, circondando e stimolando il midollo allungato. Quando all’inizio della espirazione, TEE è ivi cantato, una pressione più forte è percepita intorno al centro energetico del midollo allungato stesso estendendosi poi, successivamente, a ciascun Chakra e quindi a tutto il corpo. La coscienza del kriyaban è assorbita nel potente suono interiore di OM. Nei primi tempi di pratica può non essere percepito; è necessario essere pazienti perché lo sforzo di ciascun giorno si aggiunge a quello dei giorni precedenti finché l’esperienza avviene.

Qualora si abbia già praticato e apprezzato la tecnica del Kriya Pranayama con la bocca semichiusa, e non completamente aperta come nelle istruzioni iniziali, si possono aggiungere gradualmente nuove istruzioni, senza però abbandonare mai del tutto le precedenti, in quanto il respiro con la bocca aperta dà un meraviglioso senso di presenza nella spina dorsale. Il buon senso porta ad incominciare con la bocca aperta e, dopo un certo numero di cicli, passare gradualmente al respiro attraverso il naso, che facilita indubbiamente il processo di interiorizzazione. Ci sono tante ragioni per ritenere il procedere sempre con la bocca aperta come un fatto innaturale. Eminenti insegnanti di Kriya consigliano di limitare i respiri con la bocca aperta ad un massimo di 36; potrebbe rivelarsi un consiglio molto saggio, anche se è arduo dire se questa procedura vada bene per chiunque. Alcune linee di Kriya non insegnano nemmeno ai principianti il primo Pranayama con la respirazione attraverso la bocca, poiché trovano che questo possa al massimo essere d'aiuto ai più impreparati di loro; sono le scuole che si propongono di insegnare il più fedelmente possibile il Kriya originario di Lahiri Mahasaya, e che cercano quindi di evitare tutto ciò che, quando il Kechari Mudra sarà consolidato, sarà destinato ad essere abbandonato.

 
Relazione con Omkar
 

Ci sono quattro tappe nel Kriya, principalmente, che dovrebbero essere tenute presenti, di cui il silenzio mentale, che si comincia a percepire agli inizi, è solamente il loro fondamento. La prima vera meta è la sintonia con la realtà Omkar, lo stato di assenza di respiro viene successivamente, poi l’ esperienza del respiro interiorizzato e, alla fine, lo stato di Samadhi. In questo passo si cercherà di vedere quello che un kriyaban può fare per raggiungere la sintonia con la dimensione Omkar. L'analisi sarà divisa in due parti: nella prima prenderemo in considerazione quello che può essere praticato proficuamente senza aver realizzato il kechari mudra (e si vedrà quanto comunque può essere profondo), poi quello che è lo specifico conseguimento nel pranayama raggiungibile col kechari mudra. In generale, possiamo dire che la fase attiva del kriya, vale a dire quella di muovere l'energia nel pranayama e di fare certi movimenti fisici (mudra, bhanda ecc...) rappresenta circa un 10% di tutto il lavoro: tutto il resto è passivo e consiste di percezioni sempre più profonde di Omkar. In breve, Omkar (OM) è la vibrazione dell'energia primordiale che sostiene l'universo: tutti coloro che seguono un qualsivoglia percorso spirituale, qualunque possano essere la loro preparazione e/o le loro credenze, infallibilmente incontrano questa manifestazione della Divina Essenza. Lahiri Mahasaya descrisse il dolce suono interiore Anahat ( letteralmente non prodotto da alcuna causa fisica ) come quello "prodotto da un certo numero di persone che colpiscono una campana, continuo come l’olio che esce da una bottiglia". Questo suono afferra la consapevolezza del praticante e lo conduce nelle profondità dell' esperienza mistica, senza alcun pericolo di perdersi. Questa esperienza ha livelli diversi di sviluppo: le prime percezioni sono, di solito, quelle del ronzio di una zanzara o di un calabrone poi, affinandosi, modifica progressivamente fino ad assomigliare a quello di una campana o di un gong, poi ancora in qualcosa di simile ad acque fluenti…

La realtà Omkar non è, tuttavia, tutta qua. Continuando ad ascoltare il suono si percepisce anche di essere circondati da una diffusa luce spirituale che aumenta nel Kutastha e sopra della testa, talvolta sopravviene anche la percezione di un dolce movimento oscillatorio, percepito come una calma perfetta, che è impossibile da comprendere intellettualmente. Anche senza kechari, è possibile avere questa esperienza. Sviluppando un adeguato atteggiamento devozionale si sperimenterà, durante la vita quotidiana, un aumento equilibrato e costante dell' amore nel cuore, come se si stesse nuotando in un oceano di tenerezza. La tendenza sarà quella di un progressivo sviluppo e percezione di una dimensione paradisiaca dell’esistenza. Se si praticherà con grande intensità, si sperimenteranno movimenti spontanei di energia nella spina dorsale; talvolta si avrà l'impressione che l'energia sia catturata ed estratta da ogni parte del corpo, risucchiata verso l'alto come da un potente magnete mentre potrà anche succedere che una beatitudine improvvisa, che origina dal cuore, ci faccia piangere di Divino trasporto. Bene, la memoria di queste esperienze può salvarci quando gli eventi della vita sembrano cospirare a farci dimentichi il nostro impegno spirituale. Ci sono mille tranelli dove un kriyaban può incepparsi. Che cosa avrà il potere di riportarlo alla sua pratica Kriya se non il ricordo dell'abbraccio di amore e bellezza dell'Omkar? Quando la sintonia con Omkar è raggiunta entro la routine di kriya, la cosa migliore è ritrovarla e cercare di mantenerla durante il giorno. In altre parole, lo sforzo implicato deve essere prolungato oltre la seduta di kriya, richiamato durante ogni aspetto della vita. La qualità essenziale della devozione è incompleta senza questo aspetto. C'è una resistenza nel riconoscere che la continua sintonia con OM, sin dal suo primo emergere durante il pranayama fino alle circostanze nelle quali siamo con altre persone, è il modo più sicuro per realizzare lo scopo divino della propria incarnazione. Molti cercano freneticamente impossibili sostituti di ciò. Altri, nella speranza di godere più liberamente qualche comune piacere, recidono questa sintonia. Pensano di poterlo fare per brevi tempi. Tale intenzione li porterà fuori da quella realtà per un tempo molto, molto lungo, come se fossero stati trasportati in un altro continente. Tradire l’Omkar, significa perderlo non per mesi ma per decenni!

 
Thokar
 

Con la conoscenza di questa tecnica e la sua corretta applicazione si riesce a comprendere la sede del cuore: esperienze di felicità, dolore, pace, ecc… vengono percepite in questa particolare parte del torace. Se si riesce a sciogliere il nodo in questo centro la maggior parte dei legami fisici e psicologici vendono tagliati ed il cammino dello yoga diviene ancora più chiaro e libero da ostacoli. Nella particolare procedura del Kriya Yoga viene data una specifica direttiva per applicare questa tecnica, che è fisica e mentale al contempo, più volte e ripetutamente nel centro del cuore. Il risultato della corretta pratica sarà, a tempo debito, la manifestazione in questa area del “suono emesso senza che nulla colpisca” (Anahata Nada) e la capacità di percepirlo. Questa risonanza è chiamata in vari modi tra cui anche  “jhankar del pranava" che significa il “profondo suono dell’OM”. Con l’ascolto profondo e prolungato di questo suono la mente si libera sempre di più dai legami terreni e la profonda immersione in esso è già una forma di samadhi, la via maestra per la perfezione del Kaivalya Samadhi. E’ questo che può essere chiamato il “samadhi nel pranava nel paravastha del kriya”. In questo modo il nodo che ingloba fattori negativi come l’avidità, la durezza del cuore e varie forme di senso di colpa, di rovina, di decadimento e di profanazione viene liberato e l'aspirante compie un ulteriore passo verso la liberazione finale o "moksha". Questo stato può verificarsi anche durante varie forme di meditazione insegnate da altre discipline ma nel Kriya Yoga vengono date istruzioni per una tecnica il più possibile semplificata per mezzo della quale questo stato può essere conseguito permanentemente.

 

 

L'azione del porre la lingua nel passaggio nasale del palato superiore è chiamata "la pratica del Kechari Mudra". Sebbene questa sia una nota tecnica fisica dello hata yoga essa porta il praticante ad una ferma condizione di quiete che è necessaria perchè la mente possa ritrarsi all'interno. Quando questa condizione avviene (l'ottenimento del Kechari Mudra), l'aspirante raggiunge uno stato che è qualcosa di più della fermezza e della calma divenendo così pronto per avanzare al secondo livello del Kriya.

Acharya Sanglap, Libro 1, pagine 8,9

fonte: Yoga Niketan

 

Come è già stato ripetuto molte volte, il fatto di riuscire ad eseguire il Kechari Mudra è un segno fisico che ci indica che il nodo sottile della gola si è "sciolto" e pertanto si è pronti a procedere alla pratica dei kriya superiori; l'ottenimento del kechari mudra è un fatto che per molti maestri è necessario ed irrinunciabile. Sono d’accordo sul fatto che praticare i Kriya superiori con la lingua posta nella faringe nasale sia diverso dal praticare mantenendo la lingua in posizione normale poiché la pressione interna prodotta dal kechari fa sì che il Thokar funzioni nel modo più efficace; d’altro canto, il kechari può essere veramente difficile, quasi impossibile per molte persone. Il Kechari possiede diversi gradi. Alcuni sono capaci soltanto di tenere la punta della lingua sull'ugola, ma non di entrare completamente nella faringe nasale o toccare una particolare zona nella parte più alta del palato. Credo che anche solo le prime tappe di esso permettano di ricevere grandi risultati con la forma base del Thokar. Con l'aiuto di questa tecnica fisicamente interiorizzante si aiuta anche la mente a volgersi all'interno e l'intima conoscenza dei vari chakra che risiedono lungo la sushumna assieme all'introduzione di un particolare tipo di kumbhaka nel pranayama sono gli elementi sui quali focalizzare l'attenzione. Il risultato sarà la capacità di percepire Anahata Nada ( il suono emesso senza che nulla colpisca ) e l'esperienza del Dhyana che diviene illuminante.

 

 

Nel secondo Kriya, facendo uso di sillabe specifiche di un mantra assieme alla pratica di risiedere nei differenti chakra, è anche data una istruzione per un particolare tipo di kumbhaka. La pratica appropriata del secondo Kriya, riuscendo a sciogliere il nodo del cuore, sfocia nell'esperienza della percezione del suono emesso senza che nulla colpisca (Anahata Nada). Nel secondo Kriya vi è anche una istruzione su come applicare un particolare tipo di pressione o colpo (Thokar) sull' Anahata Chakra o centro del Cuore.

Acharya Sanglap, Libro 2, pagina 67

fonte: Yoga Niketan

 

Questo Nada (chiamato anche Pranava o Shabda) è quello a cui fa riferimento più volte nel 4° capitolo della Scienza Sacra Swami Sri Yukteswar come il modo per l'aspirante di camminare lungo la via del samadhi nello "stato perfetto". Nel suo lavoro Swamiji ci mostrò ed insegnò anche che quel suono che pervade l'intero Universo risiede nella Sua Totalità anche all'interno dell'uomo stesso. Quella "Risonanza" è ciò che attrae magneticamente l'aspirante all'esperienza diretta del Brahman in qualsiasi situazione o stato questi si trovi. Gradualmente e con sempre maggiore effusione di luce la porta sella sushumna si rende manifesta in modo effervescente e continuando a sperimentare quella beatifica visione lo yogi è in grado di stabilirsi nel paravashta del kriya. É questo il metodo che Swamiji graziosamente cercò di farci capire in modo semplice e pratico e che i suoi discepoli hanno continuato ad insegnare secondo le stesse regole. Detto questo si è praticamente pronti ad iniziare la scalata; rimane solo da preparare lo zaino dentro cui mettere le cose indispensabili che non potranno essere necessariamente molte e nemmeno troppo pesanti. Fra tutte credo sia utile non dimenticare l'umiltà poiché proseguendo sarà possibile trovarsi ad attraversare passaggi stretti e non ci si può permettere di essere troppo grandi all'esterno. É un errore frequente, quando si sono compiuti diversi passi in una disciplina, credersi "avanzati" e guardare altri che possono anche essere considerati più "indietro" con una certa sufficienza o altri atteggiamenti mentali di supponenza che altro non sono che gli ennesimi inganni dell'ego, associazioni sbagliate con le impressioni che sorgono dalla chitta che sono già stati presi in considerazione quando si è parlato della mente. Rendersi piccoli al di fuori può essere una scelta azzeccata; non sarà forse una garanzia assoluta per diventare grandi dentro ma la strada opposta è invece garanzia per un sicuro fallimento. A sostegno di questo riporto un breve passo dall'Autobiografia di uno Yogi che narra appunto di due discepoli di Lahiri Mahasaya che erano prossimi a ricevere la seconda iniziazione al kriya da parte del grande Maestro.

 

Lahiri Mahasaya graduava il Kriya Yoga in quattro distinte iniziazioni progressive 1. Egli concedeva le tre tecniche superiori solo ai devoti che avevano dato prova di un reale e sicuro progresso spirituale. Un giorno un certo discepolo, convinto che il suo valore non fosse debitamente apprezzato, dichiarò il suo malcontento: "Maestro", disse, "senza dubbio ormai sono pronto per la seconda iniziazione". In quel momento la porta si apri per introdurre un umile chela, Brinda Bhagat, un postino di Benares.

"Brinda, siedi qui accanto a me", disse il grande Guru sorridendogli affettuosamente. "Dimmi, sei pronto per la seconda tecnica Kriya?" Il piccolo postino giunse le mani supplichevole: "Gurudeva", disse allarmato, "non più iniziazioni, vi prego! Come posso assimilare un più alto insegnamento? Sono venuto a chiedere la vostra benedizione, proprio perché il primo divino Kriya mi ha tanto inebriato che non mi riesce più di consegnare le mie lettere! ».

"Già Brinda nuota nel mare dello Spirito".

A queste parole di Lahiri Mahasaya l'altro discepolo chinò il capo. "Maestro", disse, "mi accorgo di essere stato un cattivo operaio che dava la colpa ai suoi arnesi".

Mediante il Kriya il postino, che era un uomo semplice e privo d'istruzione, sviluppò col tempo la profondità della vista interiore a tal punto, che a volte gli studiosi si rivolgevano a lui per chiedergli la spiegazione di certi passi difficili delle Scritture. Vergine di peccati quanto di sintassi, il piccolo Brinda divenne celebre nell'ambiente dei colti pandit.


1 Il Kriya Yoga ha molte ramificazioni: Lahiri Mahasaya ne distingueva i quattro gradi essenziali, quelli che posseggono il massimo valore pratico.

 

Autobiografia di uno Yogi, cap. XXXV

 

 

Nell'esecuzione del Thokar, con particolare riferimento al "tocco", si dovrebbero eseguire i movimenti della testa in un modo molto delicato. Un esperto insegnante di Kriya controllerebbe che il colpo fisico non fosse forte quindi se ne deduce che non si dovrebbe permettere che il peso della testa spinga il mento verso il petto: in questo modo il movimento fisico sarebbe decisamente troppo potente e dannoso sia per la testa che per il collo. Quindi, uno sforzo fisico particolarmente attento è volto ad abbassare il mento, resistendo contemporaneamente alla forza di gravità, concludendo con un leggero sussulto che è percepito intensamente all’interno del quarto chakra. La tecnica del Thokar è perfezionata in vari stadi ed in quello finale viene aumentato il numero di "tocchi" portati al chakra del cuore in un unico kumbhaka. Questa forma del Thokar, con molte ripetizioni del movimento della testa all'interno di un solo lungo respiro, è un'intensificazione enorme del lavoro di aprire la "porta" del cuore e crea un aumento del potere e dell'energia nel quarto chakra, producendo così un'inebriante esperienza di gioia. Aumentando il numero delle ripetizioni, i movimenti della testa menzionati precedentemente vengono solo accennati ed il mento non si avvicina molto al petto di modo che il colpo sul quarto chakra è portato principalmente dal puro potere della concentrazione mentale. Il modo giusto di praticare questo terzo Kriya è una questione di realizzazione interiore, un istinto che viene col tempo. Deve manifestarsi una condizione molto particolare, il così detto "stato del Kriya"; l'energia è distribuita uniformemente sia nel corpo fisico che in quello "pranico" e la mente è calma in un mondo unico. Il kriyaban ha la sensazione di praticare l'intero insieme di rotazioni senza respirare e senza la necessità di farlo e da ciò ne trae una esperienza piacevole e naturale. Il senso di calore e la gioia elettrizzante che scaturiscono nella regione del quarto chakra portano il kriyaban ad uno stato interiore profondo ed elevato e l'impressione è che il respiro sia racchiuso nello spazio dalla gola al Kutastha. La sensazione che il respiro sia dissolto, è completamente diversa da quella di trattenerlo; invece di tentare di vincere qualche record d’apnea, il kriyaban impara a riempire al massimo di prānā il suo sistema, proprio come una brocca può essere riempita d’acqua fino all'orlo e quello che scopre è un naturale, spontaneo, kumbhaka non-forzato.

Nota: Alcune scuole insegnano a fare diverse rotazioni private del colpo che è praticato invece solo alla fine dell'ultima rotazione. Lo scopo delle rotazioni praticate in questo modo è di dirigere uniformemente l'energia nei chakra elevati. Con l’ultima rotazione, quando il mento si avvicina al petto e avviene il colpo finale, l’energia raccolta in testa è diretta nel chakra del cuore.

 

Stati di interiorità dopo i Kriya Superiori
 

Come già detto più volte in queste pagine Patanjali insegna che lo stato interiore di pratyahara è il ritiro dei sensi che avviene quando la consapevolezza è scollegata dalla realtà esterna. Lo stato mentale che segue, se si procede con una corretta interiorizzazione, è dharana, o concentrazione, il focalizzare cioè la mente su un singolo oggetto prescelto mentre dhyana è la contemplazione, la persistenza di un'azione di concentrazione come un costante, ininterrotto flusso di consapevolezza che esplora pienamente tutti gli aspetti dell'oggetto scelto. Samadhi, infine, è il perfetto assorbimento spirituale, una contemplazione ancora più profonda nella quale l'oggetto della meditazione diviene inseparabile da colui che medita e dall'atto della meditazione stessa. Secondo una antica e diffusa tradizione propria del kriya yoga, si ritiene che la ripetizione di dodici eccellenti Kriya Pranayama sia sufficiente per introvertire le correnti sensorie ed arrivare allo stato interiore di pratyahara, mentre per il raggiungimento dei successivi stati mentali definiti da Patanjali negli Yoga Sutra siano necessarie ripetizioni del medesimo ciclo, in una sola seduta, su base esponenziale quadrata e cioè 144 pranayama eccellenti per arrivare allo stato di dharana e quindi 1728 per lo stato di dhyana, che per uno yogi piuttosto avanzato, in grado di compiere ogni singolo kriya in circa 50 secondi, significherebbe 24 ore continuative di pratica. Il numero di ripetizioni per il conseguimento dello stato finale di samadhi e il calcolo della durata temporale della seduta lo lascio a chi ha una calcolatrice ed ha voglia di fare esercizi di matematica. Questo non per dire che questa teoria non sia vera, io non ho nulla per determinarlo, ma è evidente che un tempo di 12 giorni continuativi di kriya pranayama sia un compito praticamente inaffrontabile anche per il più determinato degli aspiranti. Da qui un'altra teoria, benché non completamente condivisa, che afferma che i kriya superiori vennero concepiti proprio per evitare di star seduti per tale lungo tempo e raggiungere comunque gli stati di dhyana e samadhi. Ne deriva che l'Omkar Pranayama e la forma semplice del Thokar furono progettati specificamente per promuovere dharana, la concentrazione perfetta sul suono di Omkar e sul chakra del cuore rispettivamente mentre aumentando le rotazioni del capo, nella forma completa del Thokar, si può raggiungere dhyana in cui la mente "si perde" effettivamente nella beatitudine e nella luce che emergono dal chakra del cuore stesso. Quando questa esperienza viene estesa ad ogni singolo chakra, come avviene con tecnica del quarto Kriya, l'esperienza finale del Samadhi è favorita e possibilmente realizzata.

 

Sito Yoga Paola

 

 

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